Italia-Germania 4-3 del 70, il mio caro Gimondi finalmente sul tetto del Mondo a Barcellona nel 73, l’immenso Mennea campione d’Olimpia a Mosca nell’80, Italia-Brasile 3-2 dell’82. Chi le ha viste, anzi vissute, ricorda, dopo tanto tempo, dov’era, con chi, com’era vestito e come gioito. Per chi segue visceralmente le sorti del Forlì, allo stesso modo, in ordine sparso, si affacciano I ricordi delle pietre miliari delle vicende del pallone biancorosso. Milan, Fiorentina, Anconetana, Bellaria, Scandicci, sino a quella piccolissima ma storicissima di Borgo Tuliero. La passione e l’emozione sono immuni dalle categorie: a chi le ha vissute con tutto sé stesso non importa se davanti ti sei trovato i campioni euromondiali del Milan o la squadretta di Terza categoria di un paesino mai conosciuto prima. Quello che fa la differenza è il coinvolgimento emotivo. Con Santarelli, Bonavita, Bardi o Collinelli in panchina il coinvolgimento e’ stato totale. Con quei gruppi un legame speciale. Cinquant’anni, proprio mezzo secolo, a respirare, coltivare, maledire o benedire una irragionevole fede dipinta di biancorosso sono tanti. Un bel pezzo di vita adattata al susseguirsi delle stagioni al Morgagni. Con gli anni che passano a filtrare in maniera diversa, ma sempre col cuore ai mille all’ora, quello a cui tieni sempre tra I primi posti del tuo personalissimo tabellino.
Tra le mille storie del Forlì che hanno colorato tante avventure il periodo che ricordo con più nostalgia è quello del mitico Vulcano Bianchi. Quello per cui contavo le ore, anzi i minuti che dividevano una partita dall’altra. Per il quale con Fausto, Fox e Siro andavamo di notte a far casino sotto l’albergo di una squadra avversaria o preparavamo un’accoglienza a base di uova per i tifosi venuti al Morgagni per opporsi ai nostri colori. Dopo anni di vano inseguimento la stagione 76/77 vide il Forlì trionfare sul fortissimo Carpi di Bagni e Jacovone, al termine di uno sprint mozzafiato. Emozioni che mentre scrivo si riaccendono, dopo 40 anni, come fossero state vissute da una settimana. Il 2-0 dell’ultima partita sulla Maceratese in uno stadio stracolmo di entusiasmo e di tifosi, l’invasione di campo al triplice fischio con Vulcano in lacrime sulle spalle. E poi la sfilata, con la 500 gialla e tante altre auto e clacson impazziti dietro a quel trattore con quella grande “C”. E davanti a Vittorino coi nostri eroi Salvigni, Luchitta, Brustenga, Modica e Scungio ad affacciarsi al balcone più alto dell’albergo Vittorino: venerati in un rito tribale di liberazione di una gioia da troppo tempo narcotizzata dai tanti vani tentativi.
Brustenga, Tugliach, Perazzini, Cecchini, Modica, Vasini, Salvigni, Luchitta, Listanti, Ragonesi, Bernardini
La notte si concluse ai Quattro Laghi, al Ronco. Con altri tifosi impazziti di gioia, coi giocatori, Vulcano, Bibo Bazzocchi e Pino Gavelli: i dirigenti di quei tempi che avevano permesso che ciò avvenisse. Una scossa che, rivivendola, ancora oggi mi riaccende, nella testa e nel cuore, la felicità di quei giorni lontani. I giorni nei quali andammo in serie C con Vulcano sulle spalle!