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Pericolo pubblico numero uno non rende l’idea. Se si considerano gli oltre 31 punti ad allacciata con 1,4 assist, calcolatrice alla mano, risulta che quasi il 42% della produzione offensiva dei Roseto Sharks, prossima avversaria dell’Unieuro al Pala Galassi, passa dalle sue talentuose mani. Adam Terrell Smith in questo scorcio di campionato ha letteralmente violentato le difese incontrate fin qui, mettendo insieme numeri da capogiro che fanno tornare alla mente i mostri sacri degli anni ‘80 e ‘90, quando circolavano nei campionati nostrani degli americani che parevano giocare un altro sport.

Al primo anno da professionista, combo guard di 1,85 (in shoes, con le scarpe, come vuole la misurazione americana), sta mostrando un carattere ed una sfrontatezza che dell’esordiente non hanno veramente nulla, come dicono i quasi 20 tiri a partita che prende convertiti con percentuali da urlo (63% da due, 48% da tre). Si sa che i rookie sono un rischio, scommesse con quote alte, che necessitano di fiuto ed intuito per essere azzeccate, soprattutto per quanto riguarda il lato psicologico di ragazzi che spesso escono dal college anzitempo e senza aver mai messo piede fuori dagli Usa. Occasioni a basso costo, l’ideale per squadre a budget ridotto, ma non sempre si rivelano pronti a gestire le responsabilità del basket professionistico a prescindere dal quantitativo di talento a disposizione.

Non è il caso di Smith, formatosi lungo un percorso universitario ‘singolare’ (tre atenei diversi in quattro stagioni) che, in ossequio alle regole Ncaa sui trasferimenti, ha saltato la stagione 2012-‘13 trascorrendo di fatto cinque anni all’università in luogo dei canonici quattro, fattore che già di per sé lo rende più maturo degli altri ragazzi usciti l’ultimo anno. Ultimo di quattro figli è coetaneo di Wayne Blackshear, con cui ha in comune Louisville. Smith ci è nato, l’ala dell’Unieuro ci ha giocato all’università. Avversari domenica prossima ma arrivati all’A2 italiana percorrendo strade molto diverse: luminosa e sotto i riflettori quella di Blackshear, campione Ncaa nel 2013, ben più tortuosa e povera di quarti di nobiltà per Smith.

In America, per una guardia dotata di un fisico che fa pensare più all’atletica che al basket, la strada per farsi conoscere non è certo in discesa. Smith fa vedere durante gli anni alla high school di avere grande facilità a bucare la retina avversaria (26,2 a partita) ma è il classico tweener: né playmaker né guardia, nessuna delle università di prima fascia lo considera. La chiamata arriva da North Carolina Wilmington che partecipa alla Colonial Athletic Association. Che roba è? Non esattamente il palcoscenico ideale per mettersi in mostra. Nel suo primo ed unico anno a Wilmington fa vedere subito che anche al college far canestro non è un problema: è il miglior esordiente della conference per punti segnati e non solo, contro due università di rango come Maryland e Wake Forest sfodera due prestazioni scintillanti mettendo a referto rispettivamente 23 e 32 punti. Non è un caso se sul finire della stagione arriva la chiamata di Virginia Tech, che gioca in Acc, una conference che sforna regolarmente giocatori Nba.

Adam coglie al volo l’occasione anche se questo per le regole Ncaa significa un anno di sospensione dall’attività agonistica. Nella stagione 2013-‘14 Smith fa il suo esordio in Acc e dimostra immediatamente che il cambio di livello non ha modificato di una virgola il suo modo di stare in campo, la sua capacità di produrre punti e tirare da qualunque distanza. Caratteristiche che conferma anche nella stagione successiva. Nel 2015-‘16 altro trasferimento, sceglie di avvicinarsi a casa, resta in Acc ma passa a Georgia Tech, college di alto livello, per il suo ultimo anno universitario. Anche qui ottime cifre e una costante: questo da dietro l’arco la butta, eccome se la butta: a fine stagione saranno 109 triple in 36 partite molte delle quali letteralmente inventate contro avversari più alti e grossi.

Il profilo è interessante ma, come detto, i rookie sono una scommessa. Questo fa canestro ma è basso, mingherlino… Nessuna squadra europea di prima fascia si fa avanti in estate. Ne approfitta la competente dirigenza degli Sharks Roseto che nota il talento di questa comboguard, trova l’accordo e lo mette sotto contratto. Il resto è storia recente: 30 e vittoria a Verona all’esordio, tanto per gradire. Poi ne infila 32 contro Trieste, 26 a Ferrara (unica sconfitta degli Sharks fin qui), 31 sul groppone di Imola. Domenica scorsa è stata la volta di Udine. Qualcuno azzardava un ‘vediamo se Smith fa il fenomeno anche contro la difesa fisica di Udine!’. E allora high stagionale a quota 37 e un chiaro messaggio: per il secondo anno consecutivo Roseto pare aver pescato l’mvp del campionato, alla faccia di corazzate e budget faraonici. Chapeau!