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Riccardo Fantini mi ha chiesto (implorato?) di scrivere un ritratto dell’Enrico. L’Enrico è Enrico Malandri e il suo tempo dei fiori e del vino sono certo sboccerà presto. Malandri è il mister del Forlimpopoli 1928, squadra di Prima categoria appena scivolata giù da una Promozione che storicamente a noi forlimpopolesi sta troppo stretta. L’Enrico è un bastoniano, cioè figlio spirituale di Sante Bastoni: Papa del calcio a Forlimpopoli, leggenda di una terra che assaggiò il grande calcio ben prima dei vasi di ferro Forlì e Cesena.

Santo Sante

Per parlare dell’Enrico debbo rendere onore al mio giornalista sportivo preferito, Jack O’Malley: narratore della Premier League, amante del brandy e del giornalismo sportivo cattivissimo contro ogni luogo comune.

Mi armo del suo spirito e parto per parlare dell’Enrico calciatore che ricorda quei compagni di classe non brillanti (di piede…) ma dotati di una grinta fuori dal comune. Il suo carattere (caratteraccio, in campo) era quello di uno scalatore in grado di arrampicarsi sulla parete ghiacciata della pagella a forza di unghie.

6,5 e amici come prima

Centrocampista di lotta (mai di governo, della palla), di gomiti alti e custode della vecchia legge dei combattenti scozzesi: le si danno, le si prendono, mai amici come prima (il calcio mica è rugby) e zitti. Un minatore del centrocampo, l’Enrico. Amato dai mister perché sapeva fare una cosa rara: il compitino. Roba seria, mica i finti palleggi di ragazzini bravi sulla spiaggia ma coniglietti in campo. Chi scrive, sotto l’effetto dell’O’Malleysmo, lo ha visto fare bene in ogni categoria, sotto qualsiasi tempo, con qualsiasi maglia e contro qualsiasi gladiatore. Un Nocerino. Fantini metti come colonna sonora l’inno della Curva Sud per il Noce… che ha fatto più gol del tuo Paul Pogba.

L’Enrico allenatore è un tipetto che si prende sul serio. Terribilmente sul serio. Su Fb gira una foto di lui sulla spiaggia della Costa Smeralda. Vorrei ma non posto? Chino sul quaderno degli schemi, al fianco della sua bellissima compagna di vita. E non parlo della bottiglia ma di una donna che della bottiglia ha solo i pregi. A proposito di donne. Dietro un uomo di calcio c’è sempre una crocerossina, se hai culo. Una di quelle tipe che sa lenire le ferite di una domenica di merda. Del tipo: Milan sconfitto in casa dal Chievo e Forlimpopoli asfaltato da una concorrente per la salvezza. Beh, lei è così e l’Enrico si bacia i gomiti.

L’Enrico ha poco più di 30 anni e le sue squadre vivono in trincea e di trincea. Difesa arcigna. Centrocampo folto e punte di movimento. Stile vietcong: cattivissimi sottoterra, velocissimi in campo aperto. Un figlio di Rocco spuntato fuori mezzo secolo dopo. La domanda che ci si pone è questa: ma ci capisce di calcio? E, se sì, perché è ancora piantato nelle categorie minori?

lui è quello giallo, in tribuna dopo un’espulsione

Prima delle due risposte una considerazione. La piantiamo con la retorica del calcio di sinistra (povero e romantico) e del calcio di destra (ricco e commerciale)? Vi divertite di più a vedere un Barcellona-Bayer Monaco o Fratta Terme-Roncadello?

Risposta uno: di calcio ne capisce. In tempi non sospetti mi disse che Niang è buono davvero. Insomma non sarebbe solo uno che si tuffa dai tetti e che guida con la patente di Traorè (mamma mia…).

Risposta due: in Romagna il calcio somiglia alla politica. I culi di chi comanda da sempre pesano più di un container di cemento.

Enrico, ti voglio bene. Il tempo del vino e dei fiori arriverà.