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Una promessa è una promessa, avevo un appuntamento con alcuni che attendevano la fine della cronaca… qualche giorno fa nel descrivere la Prima Parte della Nove Colli, il resoconto si era interrotto a Sogliano, in concomitanza con la divisione dei Percorsi. Se nel primo racconto le nostre ruote ci avevano riportato a Cesenatico per concludere la Medio Fondo in 130km, oggi proseguiremo sul tracciato della Granfondo, percorrendo le successive 5 salite che fanno il fiocco all’impresa dei più audaci.

Come se avessimo il teletrasporto ci riportiamo con le nostre bici alla rotonda di Sogliano (Km percorsi 103) che si trova all’ingresso del Borgo; una riproduzione di un’Opera famosissima di Leonardo Da Vinci posta all’interno della Rotatoria (L’Uomo Vitruviano ndr) che con le sue braccia quasi viene ad indicarsi la rotta da prendere. Scendevamo da Strigara, prima ancora dal Barbotto, quella l’ultima asperità che avevamo incontrato e superato con un poco di affanno, sospinti nel contempo dalla fibrillazione di averne messa alle spalle un’altra. Per molti la più cattiva, ma ricordate che le voci di corridoio non sono sempre le più attendibili, perché lo abbiamo descritto, il Barbotto è si cattivo nel suo tratto conclusivo, ma anticipa tratti di strada non agevoli e non è altro che la quarta delle nove salite. Ogni km che si percorre rende la salita successiva più ostica, più arcigna, ma anche più stimolante da oltrepassare, per far si che l’arrivo si avvicini in maniera inesorabile.

Prendiamo la discesa che ci porta a Ponte Uso (Km percorsi 107) : il suo disegno è sinuoso, curve ampie, rotonde, con la prima parte quasi totalmente protetta dal fogliame degli alberi, che la ombreggiano per la maggior parte, poi uscendo dal conforto del boschetto, con una serie di curve che tendono a sinistra incontriamo un tornante, e quasi per magia la vegetazione scompare, lasciando il campo ad un aspetto più aspro, grigiastro, di prati appena falciati dalle mietitrebbie e con il mutare dello scenario, prende campo il sole. La strada prosegue rapida in fondo alla valle, la discesa è 4 km e parecchio veloce, perché il freno si può marcarlo con estrema parsimonia. Quello che non posso evitare di menzionare, che immancabilmente ci accompagnano in queste cronistorie, sono le “buche” ed in certi casi si tramutano in “crepe” che per le ruote sottili di una bicicletta da corsa sono minacciose come il Kim Coreano. Arriviamo a Ponte Uso e puntiamo a destra, per 4km attraversiamo una zona desolata, quasi celata tra le colline, che man mano diventa una stretta gola nella quale la strada va ad incastrarsi.

Qui comincia improvvisamente il Monte Tiffi (▼ la quinta salita ▼). Cos’è il Tiffi? Una formalità si può pensare, perché in effetti messo lì assieme alle altre salite, quasi non la conteresti; vero, è un piccolo dente, che magari potrebbe cadere con la crescita, un dente da latte che però è dura da far cedere. Tre km di pendenze che raggiungono il 16% e che per gli ultimi 800mtr non scendono al di sotto del 10%; lo vedi li di fronte, sembra un ammasso di mattoni che creano una torretta dimenticata dalla civiltà, affianco gli passa questa strada che lo ha reso pure famoso. Passa via così quella che per me non è una formalità, ma un invitato non particolarmente accondiscendente. Si scollina (Km percorsi 113)  e ci si precipita immediatamente in giù, repentino il cambio di pendenza: si scende per poco più di un km, non particolarmente complicata e ben leggibile nelle sue curve, ci troviamo così a scorrere in un luogo dove verde e giallo fanno coppia fissa, un meandro lasciato alla natura, poco più di un km ancora e leggiamo il cartello “Perticara”; cartello sommerso dall’erba che lo ha attecchito per il fatto che la manutenzione alle indicazioni turistiche che dovrebbero traghettarti sul percorso, sono decrepiti e dimenticati a se stessi.

Poco ci importa, conosciamo la via per la meta, così procediamo convinti verso la sua vetta. Il Perticara (▼● la sesta salita ▼●) ha una peculiarità che può renderlo cattivo: sembra una scala. Cosa intendo? Per i primi 3km ha questi dislivelli sensibili che anticipano fasi di quasi pianura, se ne incontrano una serie e spezzano il ritmo e con esso la difficoltà a trovare cadenza e rapporto. Arrivati ad un tornante verso destra, cambia il copione, la salita si stabilizza, procedendo per altri 2 km costante, regolare e trovando respiro nel superare una fattoria, ed un cambio radicale del palcoscenico. Prati verdissimi, lineamenti di orizzonti montani, ed il cielo aperto al di sopra. La salita pian piano allenta la morsa portandoci ad un bivio, che ci costringe a sinistra. Mancano 1,5km per approdare a Perticara (Km percorsi 122)  paese e spuntare la “sesta”. Il faraglione che domina l’abitato ha un suo fascino, fungendo da scudo a un piccolo insieme di case che poggiate sulla montagna segnano un quasi avamposto tra Romagna e Marche.

La strada procede in un falsopiano illusorio per qualche centinaio di metri portandoci alla discesa che ci tufferà a Novafeltria. Questa è una discesa veloce, ben gestibile, con 6/7 tornanti ampi nella sua prima parte, seguita da un paio di rettilinei lunghi e assai veloci. In questo punto la Corsa negli anni ha subito una correzione di tracciato, se anni fa si finiva a Novafeltria abitato, da qualche edizione a questa parte, si tende verso “Sartiano”, deviazione che si insinua a meno di un km dal fondo della discesa. Questa bretella non è una gioia per nessuno, gambe e biciclette urlano colpite nel vivo. E’ un tratto all’insù che non è tanto valorizzato sul percorso, ma che fa il suo danno e per fortuna dura poco. Precede qualcosa che come detto anche prima, non è una goduria per le biciclette: l’asfalto rovinato; questo segmento è particolarmente usurato e mal tenuto, attenzione massima a non finire dentro a qualche voragine per non frantumare una ruota o anche solo pizzicare una camera d’aria.

Finiamo questo “intermezzo” poco memorabile, ritrovandoci sulla strada principale, un km poco più, per superare un lungo ponte e trovare a sinistra l’imbocco della settima salita, la più lunga della Nove Colli, qualcosa in più di 9km, per sormontare un dislivello di 520 metri positivi. I primi 4 saranno i più duri, pendenze che non scendono mai sotto il 7%, toccando due volte un picco al 12; la via è contraddistinta da curve rotonde, che scompaiono dietro qualche angolo, non permettendo un ampia visuale del suo sviluppo, fino a che ad un km di “Maiolo”, si esce allo scoperto e finalmente si riesce a giovare di un paesaggio più arioso, dove si possono ammirare alcuni tratti di strada che abbiamo appena percorso (come Perticara e la sua discesa), vedere Novafletria ed ammirare qualche collina che si trasforma in montagna. Il centro civico di Maiolo è un piccolo puzzle di case, spalmate su un rettilineo; passa via rapido, tanto che appena usciti troviamo 2km di strada in pianura, qui le gambe rifiatano, riattivano al loro meglio le funzioni motorie smaltendo le tracce sempre più marcate dell’acido lattico; mancano 3km così alla Madonna del Pugliano, Basilica che troveremo in vetta (▼●●  settima salita ▼●●) che detta il nome al Luogo ed in pratica alla salita. Questi per molti sono momenti lunghissimi, perché la strada riprende a crescere, ma non sembra; la carreggiata larga e dritta maschera la sua natura e rende la prospettiva distorta. Procediamo comunque concentrati verso l’obiettivo e ci facciamo acchiappare dalla sagome di “San Leo” e la sua Rocca granitica che si staglia poco più in là. Una vera gemma del Medioevo che non lascia indifferenti, per forma e collocazione; anche questo ci allevia la fatica, perché la strada è proseguita inesorabile sotto le nostre ruote e scorgiamo per incanto la Chiesa che coincide con la fine della salita (Km percorsi 142). Non è durissima, va detto, ma è lunga, è molto esposta al sole e porta alla causa il dislivello maggiore in unica soluzione di tutta la Corsa.
Quassù l’aria nonostante il periodo è più frizzante, siamo a quasi 800mtr sul livello del mare, asciuga e rinvigorisce. Beviamo e ci rifocilliamo con una barretta.

Non mi sono addentrato per ora su considerazioni sull’alimentazione: è tutto molto personale questo argomento, ma superata la seconda ora, ogni 40/45 minuti sarebbe doveroso mantenere l’indice glicemico a regime, per far si che la gamba faccia il suo dovere e non trovi momenti di vuoto. Questo creerebbe una crepa insanabile all’interno di un “viaggio” disseminato di insidie e rampe. Quindi barrette, panini, frutta secca, gel di zuccheri a rapida assimilazione, sono tutti elementi decisivi per arrivare al traguardo in condizioni tollerabili.

Procediamo per sinistra, tendendo verso San Leo; ci passiamo affianco e poi sotto. Fa impressione, quasi controlla il nostro passaggio, la strada è immediatamente a sinistra di un incrocio ad X, scende poi repentinamente e con qualche curva più o meno repentina si perde quota in pochi km, la strada è stretta, angusta, ma almeno qualche toppa all’asfalto è stata messa, perché anche questo era un passaggio infernale per sollecitazioni e attenzioni da tenere. La parte conclusiva della rapida non è tecnica, sono alcune curve veloci e rettifili che ci conducono nella Val Marecchia, attraversiamo il letto del fiume Marecchia con un lungo ponte che ci conduce nell’abitato di “Secchiano” (Km percorsi 152); passiamo la piazzetta e poco dopo ci accingiamo a prendere a sinistra per salire il “Passo delle Siepi” (▼●●● ottava salita ▼●●●). Non vi sono discussioni, è la salita meno da interpretare di tutte, regolare, poco spigolosa, non lunga. Sale dolce per meno di 5 km e permette a quelli più in condizione di farla di slancio a buona andatura, senza mai andare a toccare rapporti particolarmente agili. Aiuta a ritrovare slancio, perché in un batter d’occhio ci si ritrova in alto e realizzi che è l’ottava salita, che anche quella vale come Colle e che al completamente ne resta una soltanto. Le Siepi (Km percorsi 156) sono moralmente un aiuto, un appoggio, una molla. Come la salita la discesa è piacevole, snella, tra campi dolci che scendono ai fianchi; pochissimi alberi, qualche casa sparsa, un collina tra le colline, non appare che questo.

Così ricapitiamo a Ponte Uso, ci siamo già passati, scendendo qualche tempo prima da Sogliano, ma ora invece di andare verso il Borgo suddetto, procediamo verso Savignano, dove la strada di fondovalle che ci attende è di una dozzina di km; si confida nel vento favorevole, o nella mano di qualcuno che ci potrà trainare stagliandosi davanti alla nostra ruota. Resta che questa è una fase alternativa per la Nove Colli, un tratto abbastanza lungo di trasferimento, ma ci tocca perché il Gorolo ci manca a fare “9” e comunque l’impegno lo abbiamo preso. Così procediamo più o meno agili verso l’inizio del Gorolo; capitiamo dinanzi ad un dosso ombreggiato e immediatamente dopo ci si para una rotonda con indicazione Gorolo a sinistra. Inizia l’ultima asperità: leggiamo 3km sulla cartellonistica dell’organizzazione, ma è errata come indicazione. In cima saranno più di 4, direi quasi 5. Si configura con i primi 1500mtr belli aspri, che salgono repentini, pendenze tra il 9/11%; è scoperta, col sole che nell’ora presunta per il passaggio sarà bello alto e dritto sui caschi; questo inciderà, calerà un carico pesante sul tavolo della sfida. Superato questo primo gradone, che si definisce con una curva repentina verso destra, la strada va via rilassata per 700mtr, passa dentro un piccolissimo abitato e dopo un piccolo tratto in discesa, si riaccende la sfida con un primo bis di tornanti al 9%, altro piccolo pianoro e poi cartello del 17% che minaccia di tirar via le ultimissime energie. Iniziano 500mtr da fare tutti d’un fiato per tirar via il male e non voltarsi più indietro. Si sconfigge così il Gorolo (Km percorsi 177), si arriva in alto e di qui alla meta di salite vere non se ne incontreranno più, promesso.

Unica cosa da sconfiggere sono i 28 km che collegano la vetta (●▼ nona salita ●▼) di quest’ultima salita con Cesenatico e Viale Carducci, nel mezzo non saranno solo km di discesa e pianura, ma già i primi 7 che ci porteranno a Borghi (Km percorsi 184) saranno un ripetersi di sali e scendi, dove ritmo ormai non se ne ha più, ma si cercherà di estrapolare le energie nervose tanto care a trasformare una pedalata quadrata in qualcosa di più rotondo possibile. Sopraggiunti a Borghi, un atro tratto di leggera salita tra dossi artificiali e calura dell’asfalto renderanno il cammino ancora complesso, ma poi superato questo altro tag, la strada prende finalmente una piega più malleabile ed infine conciliante.

Si arriva a Savignano sul Rubicone (Km percorsi 192), due rotondone, un cavalcavia e si inizia a mente il conteggio alla rovescia che da meno 11, ci porterà a Cesenatico, gli ultimi km saranno una cavalcata sulle ali dell’orgoglio e del compiacimento, a prescindere da cronometri o posizioni al traguardo; la Nove Colli sta finendo ed avercela fatta senza intoppi è sempre meritevole di rispetto, applauso, ammirazione. Si prende il Viale alberato che collega Valverde a Cesenatico e il traguardo lo vedi, laggiù, perché per un giorno la cittadina Cesenate dedica se stessa alla Festa delle due ruote, il Viale è dedicato a tutti quei 12.000 che faranno di tutti per tagliarlo.

Punto, a capo, tacca sul cannone della bici, diciamo quanto mai in termini metaforici. E’ un successo comunque sia, perché scatta la molla che ti fa muovere la mente a progettarne una Nuova. Non si conclude al traguardo, anzi, questa esperienza serve a rivolerne correre un’altra.

E’ stato entusiasmante fare salite famose, rese celebri dal ciclismo amatoriale, dove anche una Leggenda come Marco Pantani – ho evitato di menzionare finora un Idolo per molti, ma ritengo sia quasi profano mischiare qualcosa di assoluto, con le prestazioni umane e comunque ammirevoli, di persone comuni – formava i suoi successi. Sarà un fiume di gente, una festa, una sana competizione. Le auto per un giorno eviteranno di risuonare i loro clacson, per un giorno non vi saranno lamentele o disguidi, sarà un 20 Maggio dedicato al ciclismo ed ai loro unici appassionati.