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Scendiamo in garage, gonfiamo le ruote, controlliamo che sia tutto al proprio posto, freni ben regolati, barretta nella tasca, casco ed occhiali ben posizionati e poi chiudiamo la basculante. Ora toccherà alla strada darci un suggerimento, per trovare quella via che ci calza più a pennello.

Come fosse la bussola magica che ruota il suo ago verso la meta, ci dirigiamo verso Castrocaro. Mi piacciono le colline, le salite e non mancheranno mai nelle mie uscite; perché salendo si provano emozioni uniche date dalla fatica che esplode al culmine di una qualsivoglia strada che porta ad una vetta. Sarà anche che dall’alto si vedono più cose, le si vedono meglio, le si controllano; resta che in bicicletta è bello andare in salita, comune denominatore con vita, crescita, maturazione.

Passando da San Varano puntiamo Terra del Sole, dove troveremo il primo snodo, voltiamo a destra per evitare la Via Firenze, passando per via delle Sette Marie e poi via Poletti. Monte Poggiolo si staglia sulla nostra destra, ci gireremo spesso al fianco, quasi fosse un vincolo dal quale farci attrarre. Raggiunta Terra del Sole, dopo aver ripreso via Firenze, oltrepassiamo la Piazza, e le mura della vecchia Rocca, ci accorgiamo come se fosse una meraviglia camuffata, che a 5 km da casa esistono storia e palazzi unici.

Prima di immergerci nel vialone alberato che porta a Castrocaro, tendiamo a destra in via Biondina che poi si trasformerà in Rio dei Cozzi. Per molti la salita è anche conosciuta come Converselle, qualcuno negli anni gli ha dato l’appellativo di Piccolo Pordoi per via della serie di tornanti che si attorcigliano sul fianco della collina. Qui troviamo una valle stretta che culmina su una collina ripida che costringe alla scalata; bella, riassettata nel suo fondo stradale, sale ripida per quasi due chilometri, ma al suo culmine ci attende un Paesaggio ragguardevole. Campi che stanno aspettando la bella stagione per risplendere con i colori di una natura che rinasce, le colline che dolci si alternano a calanchi più grigiastri. Sembra di aver distanziato la Città di parecchie miglia, in realtà Forlì è nascosta dietro alla linea della collina che di traverso si pone alla nostra vista. Arrivati ad un incrocio a tre vie, ci soffermiamo qualche secondo per bere un sorso e dare un’occhiata più intensa.

A questo punto, con la massima accortezza imbocchiamo via Croce. Premessa che avrei dovuto porre sin dal principio: quello che vengo a descrivere è un percorso adatto alla bici da strada, ma non particolarmente agiato. Una Mountain Bike od anche una bici con copertoni più generosi, potrebbero agevolare l’escursione, garantendo una sicurezza assoluta ed in definitiva una goduria totale.
Via Croce ci porta in Val Samoggia, altra vallata curata, dove si stagliano campi e qualche vigneto. Fattorie e case patronali, zona questa a portata di mano, che apparentemente ha perso il passo con la nostra civiltà, mantenendo una sua fisionomia di ambiente bucolico e genuino.

Scendiamo attenti a non centrare le buche ed a non scivolare su qualche tratto con ghiaia riportata, arriviamo in fondo con cautela mirando poi a sinistra. Superiamo un poligono di tiro e passato un ponticello andiamo a destra verso la Pietramora. Altra salita non particolarmente lunga, ma che si fa dare del Lei. Anche qui l’asfalto è intervallato da qualche cratere di troppo. Garantiscono che non sia caduto nessun steroide, perché a volte viene da chiedersi come sia possibile che la manutenzione sulle nostre strade sia tanto carente; purtroppo così siamo messi, e con questo dobbiamo convivere. Per tutto questo basta andare più piano, tenere ben saldo il manubrio e guardare la strada. Risaliamo anche questa collina con estrema rapidità, la quota aumenta subito e di qui il panorama, va ammesso, strappa il fiato. Campi ampissimi, qualche boschetto, silenzio. Se da una parte incombono le antenne del Monte Trebbio, dall’altra si fa finalmente vedere in tutta la sua ampiezza la Pianura Padana: Faenza, Forlì e se il cielo lo troverete terso, ben altro.

Pietramora è una Chiesa nascosta tra vigneti e l’ombra di qualche albero, spunta a sinistra e nemmeno tanto ti sorprende, perché non incanta per bellezza manifesta. In effetti è un po’ mistico il territorio, silenzio e quiete quassù la fanno da padrone e posso dire con la massima onestà: adoro venire in questo luogo.

Troviamo il modo di riempire la borraccia, affianco alla Chiesa. Ripartiamo così verso Marzeno, la discesa non comincia immediatamente, anzi per qualche centinaio di metri, la strada si sviluppa su un falsopiano devastato nel fondo, mantenendo la velocità di crociera estremamente contenuta, passiamo oltre. La discesa inizia dopo un paio di conche, con la strada che scende e poi risale; improvvisamente diventa una vera calata, ripida e rapida, ci porta in fondo; passando affianco ad una serie di belle case a mattoni a vista, ci nasce spontaneo un sentimento di invidia per chi riesce a trovare un rifugio tanto prezioso, quanto vicino alla confusione della pianura.

Manteniamo la destra ed imbocchiamo via Agello, la strada di sviluppa per qualche metro in pianura, per poi inarcarsi dopo una curva a destra; saliamo per un chilometro poco più, altra salita secca, ripida, ma veloce, qualche albero al fianco della strada ci permette di mettere dei riferimenti, nel salire regolari e poco affannati. Quattro tornanti per arrivare in quota, siamo su una dorsale di un poggio, una via che fa il profilo della collina ci permette di rivedere le zone che abbiamo percorso poco prima, quindi la Pietramora lontano e le Converselle poco più defilate. La costante sono questi paesaggi curati e arredati dai coltivatori; qualche laghetto artificiale che garantisce una riserva idrica per abbeverare i frutteti che specie verso Faenza si manifestano numerosi. Prendiamo velocemente la discesa – solita accortezza, piano, mani ben salde, freni usati con accuratezza, massima precisione – e raggiungiamo Santa Lucia delle Spianate.

La strada si immette a T sulla via che arriva Faenza, noi svoltiamo a sinistra, superiamo una rinomata Trattoria che ci sfila a destra ed appena sormontato un piccolo dosso, passiamo a destra in via Monte Brullo, strappo brevissimo, ma intensissimo: 20% di pendenza massima, tanto da ravvivare il cuore e spararlo a qualche battito vicino alla frequenza massima. Dura poco e questo non è altro che un mini passaggio per fare più fatica e tagliare verso San Biagio Vecchio.

Scendiamo rapidi come siamo saliti e raggiunta una nuova crocevia, tendiamo a destra. La salita sale molto più dolce per 500/600mtr, tra altri filari da una parte e campo ben rigato dall’altra. La strada cambia per qualche volta intensità e pendenza, per strappare nel momento di avvicinarsi a San Biagio. Raggiunto il Parcheggio (privato) si materializza un terrazzo naturale da cartolina. I pini quasi creano delle colonne portanti di uno scenario che sullo sfondo racchiude tutta la bellezza delle colline tra il Faentino e il Forlivese. Si nota benissimo la Torre di Oriolo dei Fichi, con i suoi pini che gli instillano un contorno romantico. Ma è il complesso che colpisce, è bello e basta. Ci mangiamo una barretta, ma basterebbe anche un gel per assimilazione rapida di zuccheri, beviamo una bella dose di acqua e ripartiamo. In questo tratto l’attenzione deve tornare massima, quindi va bene il contorno incantevole, ma ricordiamoci che la strada non permette distrazioni!

Procediamo mantenendo la destra e caliamo verso la pianura. Subito dopo un tratto particolarmente ripido, prendiamo tutta a destra e procediamo in Via Oriolo, oltrepassiamo un Agriturismo, procedendo per circa due km in direzione della Torre che poco prima avevamo ammirato. In poche pedalate raggiungiamo la piccola Piazzetta di Oriolo, la Torre rimane nascosta, ma il minuscolo incrocio di case, comandato da una Chiesetta è bizzarro, molto curioso, merita tanto quanto ogni angolo che oggi stiamo incontrando. Pochi secondi, per girare la bici e ridiscendere verso il basso. Stiamo marciando come se la strada fosse un elettrocardiogramma impazzito, irregolare, quindi perché non proseguire con questo susseguirsi di strade che salgono, scendono, svoltano, si intrecciano.

A questo punto ci dirigiamo verso Villagrappa, passando da via del Passo, via Castel Leone ed infine via Ossi. Per tre km pedaliamo in mezzo ai campi, nella pianura, come una parallela della via Emilia, per arrivare quasi a  Villagrappa; troviamo poco prima un Forno sulla destra nell’angolo con via Scaletta. Imbocchiamo la via e procediamo; come per magia a capeggiare sulla destra troviamo un vecchio acquedotto ed una fontana che garantisce tutto l’anno una certa freschezza. Ne approfitto per riempire la borraccia e darmi da torno per gli ultimi passaggi di questa escursione.

La strada prende a salire leggermente fino a via Campagna di Roma, giriamo a sinistra e immediatamente a destra in via Framonta. Obiettivo arrivare al cospetto di Monte Poggiolo. Lo avevamo detto che sarebbe stato ricorrente ed eccolo che lo puntiamo, tenendolo sott’occhio. Passiamo tra case e qualche campo dolce che scende morbido; la strada è altrettanto breve, paragonabile a quelle affrontate in questa uscita, tanto che arriviamo al culmine in pochi minuti. Il Castello è lasciato al suo destino, peccato. Un giorno ci si renderà conto che mandare in malora un patrimonio così ampio e inestimabile, sa tanto auto distruzione; a me questa Rocca ricorda qualche leggenda su Caterina Sforza che narrava di un tunnel sotterraneo che collegava questo estremo, con quello della Rocca in Centro a Forlì. Tanto per dare i connotati all’importanza di quello che per molti è un rudere e poco più di un castello dimenticato da Dio.

Scacciato il pensiero un po’ nebuloso, mi muovo una volta ancora verso Terra del Sole, che raggiungo in poco più di un chilometro, puntando Castrocaro; percorro per intero il Viale alberato e raggiungo la facciata del Grand Hotel; immediatamente dopo, scendo a sinistra in direzione Statale Tosco-Romagnola, supero il Ponte del Montone, una rotonda e prendo la statale che lascio immediatamente dopo per andare verso destra e risalire via Sadurano, anche nota come Vulture. 13 tornanti per arrivare ad un primo incrocio che tenendo la sinistra mi permette di raggiungerne un secondo e puntare per Massa e Vecchiazzano. Ammiriamo ancora una volta il paesaggio. Si notano bene gli abitati di Castrocaro e la sua Rocca, Terra del Sole, il Monte Trebbio, le colline che ci hanno ospitato. La silhouette non sarà quella delle dolomiti, ma per essere un luogo a 5 minuti dalla propria dimora, schifo non fa.

Percorriamo tutta via del Tesoro ed entriamo in Vecchiazzano. Ormai è finita, abbiamo per una volta ancora portato a termine un giro con angoli che si celano sotto il nostro naso che meritano ogni volta di più una giusta riconoscenza: per essere tanto preziosi e tanto a portata di mano.