Quando parliamo di Quattro Passi viene alla mente il Giro sulle Dolomiti che fa un grande abbraccio al mastodontico Gruppo del Sella, tanto da fungere come fulcro a quattro Vallate alpine. Esiste qualcosa di similare anche negli Appennini Tosco-Romagnoli, un percorso ad Anello ribattezzato con lo stesso appellativo di “4 Passi”. Forse altisonante come denominazione ufficiosa, quasi blasfema per qualche cultore delle Dolomiti, resta però l’aspetto tecnico indiscutibile, un disegno con quattro salite vere, lunghe, immerse nella natura e dai connotati che richiamano la montagna.
Vi voglio raccontare passo per passo cosa sia percorrere questa via, che unisce la Romagna e la Toscana, provando a delineare al meglio gli aspetti che rendono questo particolare percorso qualcosa di straordinario e meritevole; uno sforzo importante che permetta di chiudere l’anello e aggiungere una tacca sul proprio personale taccuino delle conquiste.
Questo “cerchio” idealmente lo si apre e si chiude, almeno per me che sono “forlivese”, da Santa Sofia (un cesenate potrebbe cominciarlo da San Piero in Bagno). Idealmente poiché nelle mie ripetute occasioni in cui l’ho affrontato, mai l’ho iniziato da Santa Sofia. Per chi non vuole esagerare coi Km ma vuole, nel caso, scaldarsi, è valido il consiglio si usare il Parcheggio di Galeata affianco al Campo Sportivo come base. Da questo punto si aggiungono circa 12km al percorso che comprende il solo anello e poco più di dislivello complessivo; in pratica si allunga il tiro, ma di quel poco che può aiutare a trovare il colpo di pedale giusto per iniziare a salire. Per chi volesse portarlo a termine partendo da Forlì i Km complessivi sono 190 con 3.300 metri di dislivello.
Facciamo partire il nostro racconto dal ponte di Santa Sofia, attraversiamo il Fiume Bidente che nel borgo romagnolo concede un’ampia apertura, dove spesso si possono ritrovare papere ad abbeverarsi e qualche persona a camminare a bordo del corso d’acqua. Santa Sofia è il “principio” della nostra odierna avventura, superare il suo ponte, quasi fosse una passerella per dar vita alla nostra piccola impresa, ci stampa nella mente un’immagine definita. Imbocchiamo il Passo del Carnaio seguendo le indicazioni per Bagno di Romagna o San Piero in Bagno. La salita inizia praticamente al cospetto di una base della Protezione Civile ed un grande parcheggio; in 200 metri ci lasciamo alle spalle l’abitato e troviamo il verde di un bosco. La strada sale repentina in questi primi 2,5km, con 5 tornanti, in coincidenza del quarto anche una punta al 12%, ma le gambe sono fresche e la strada passa snella sotto le ruote, la quota raggiunta la quota di 450 metri, inizia a dare respiro, anche durante le giornate calde di luglio. Questa è sicuramente la fase più fresca dell’uscita, col il sole che ancora non è alto in cielo e la frescura della notte che rilascia dei fiochi aliti di fresco. Usciamo improvvisamente dal bosco, la strada si ammorbidisce nelle sue pendenze e si stende tra prati e terreni che scendono morbidi sulla sinistra, in pratica ci si para dinanzi un panorama collinare, con campi gialli ed una serie di balle di fieno sparpagliate sui terreni appena rapiti dei loro doni in natura.
La strada si alterna tra tratti di quasi pianura, a qualche leggero rettilineo in falsopiano. È una strada scenica dove le fattorie sparse invadono la natura, ma perdere il contatto con essa. Non ci sono particolari difficoltà anche quando tre ampi tornanti fanno si che lo sforzo si faccia più severo. A sinistra incontriamo un bel pascolo di mucche, rilassate ed intente a fare il loro meglio: mangiare. Superiamo un dosso, in coincidenza con una nuova casa sulla destra, scendiamo per 300/400 metri e quasi come fosse un catino, riprendiamo a salire; mancano all’incirca 2km, il primo senza dubbio sorprendente perché richiama qualche rapporto agile che faciliti il superamento delle ultime difficoltà. Qualche curva e scorgiamo in fondo un Bar/Ristorante, dove si può individuare la fine della salita, un crocevia con indicazioni per Spinello ed una fontana sempre molto frequentata da ciclisti.
In realtà la strada prosegue in leggera salita per altri 500 metri, dove si comincia realmente la discesa per San Piero in Bagno, punto nel quale lo scorso anno era fissato il Gpm per il passaggio del Giro d’Italia. La discesa è tortuosa, ripida, veloce, con un fondo stradale in buono stato, ma con qualche curva cieca che specie nel mezzo del suo sviluppo, necessita di una certa accortezza. Ma in meno di 5 minuti entriamo dentro l’abitato di San Piero. Passiamo oltre, per quanto anche questo Borgo sia degno di nota, la strada da fare è ancora tanta e non ci perdiamo d’animo, procediamo senza tentennamenti. Qualche chilometro per arrivare a Bagno di Romagna, strada ampia che non userei per farsi del “male”, ma sfrutterei per parlare al proprio corpo e carpire lo stato di forma, perché sapere se sarà un giro garibaldino od in difesa, è utile scoprirlo al più presto.
Passato anche Bagno, un km e mezzo dopo, sotto ai piloni ingombranti dell’E45 le indicazioni a destra ci spingono verso Badia Prataglia, Passo dei Mandrioli, con il numerino 11 affianco che ci ricorda che la salita da affrontare non sarà un cavalcavia. E’ una strada con tante semicurve, che si aggrappa alla montagna; sale precisa, cadenzata, senza mai strappare veramente. Ma prende quota e ci nasconde per qualche km cosa cela veramente. Boschi e vere montagne. Rispetto al Carnaio siamo in un ambiente decisamente più verde, boschivo, dove le forme che dividono la terra dal cielo, si spiegano alte e più risolute. Lunga, ma sinuosa, questa salita richiede più che forza od esplosività, una buona dose di resistenza; non si incontrano sovente delle salite così durante l’anno a meno di non andare sulle già premesse Alpi. Resta nelle gambe, e quando a metà molla del tutto, concedendo mezzo km preciso di pianura, viene quasi voglia di sperare nella fine, accorgendosi in pochi metri che siamo più o meno alla metà. Lungo tornante a destra e gradualmente si riprende a salire, con pendenze ancora malleabili. I km di salita cominciano ad accumularsi. Passiamo affianco ad un cartello che menziona “Villaggio Ravenna Montana” che sembra, visto da fuori, un villaggio di gnomi con casette a triangolo, quasi fossero tende di mattoni. Ci distraiamo poco: la smania di andare avanti e raggiungere la vetta fa il resto così prendiamo un ulteriore tornante, questa volta che vira a sinistra; concede un’altra boccata di ossigeno, ma soltanto per un centinaio di metri e leggiamo che restano tre km. Sembra una vita che siamo su questa salita, non essere abituati alle salite prolungate fa questo effetto, appaiono smisurate; 10/12 km in pianura passano in circa 20 minuti, in salita se la velocità non è quella dell’amatore di livello, possono anche richiedere 50 minuti. La strada non concede più tratti troppo morbidi, sale con quel fare deciso, ma mai troppo spigoloso; si fa dentro e fuori dal bosco, l’ombra prevale sugli spazi scoperti. Sfiliamo una casa cantoniera appoggiata sullo strapiombo, e leggiamo meno 1; manca pochissimo, ci lasciamo sulla destra una struttura che forse tempo addietro era prestata alla ristorazione e che ora invece sta mollando al degrado. Un biscione di curve morbide, fa trapelare un tratto più dolce, quello che praticamente nasconde l’angolo a destra che determina la fine dalla salite, la seconda delle quattro. Foto al cartello Passo dei Mandrioli, altezza 1173 metri. A questo punto abbiamo percorso 39 km, metro più o metro meno e già 1380 metri di dislivello positivo.

Mettiamo qualcosa per coprirci, la discesa è nei fatti fresca, rimane tutta all’ombra, un versante Nord che non mai si scalda ed insidioso per una luce alquanto ridotta, anche nelle ore più centrali. Non vi sono particolari annotazioni da fare, tornati snelli, rettifili che si alternano a curve di facile lettura, sono 5km veloci che ci portano a Badia Prataglia. Sono poche case ma c’è sempre movimento, la gente che ama la montagna vi si reca per cercare refrigerio, mettere distanza con la settimana di lavoro che tedia e stanca. Quassù il rituale della spesa al Market per prendere affettati e pane fresco, riempire gli zaini e cercare qualche sentiero inesplorato è ancora oggi un’abitudine. Riempiamo la borraccia, mangiamo qualcosa prelevandola dalle tasche posteriori della maglietta e di buona lena riprendiamo la nostra strada.
Un piccolo dentello e salpiamo definitivamente verso Camaldoli. Altri 3 km di discesa veloce, un paio di curve repentine a destra e piombiamo a Pian Del Ponte, teniamo la destra e ci dirigiamo verso Serravalle, la strada per 2 km sale docile, non sembra quasi salita, anche se in realtà la riprendiamo quota, 4/5%, che ci conducono in un piccola quantità di case che facendoci virare repentinamente a destra ci fanno scendere per altri 600metri. Finiamo su un’altra strada e facendo massima attenzione alle macchine che potrebbero arrivare da sinistra, ci infiliamo dentro al Bosco di Camaldoli, qui per 10/12 km circa avremo gli occhi pieni del verde, della vegetazione che diventerà sempre più fitta e immacolata. Per chi non è mai stato all’Eremo forse potrebbe anche essere un passaggio qualsiasi ma garantisco che un alone di mistero volteggia dentro quella foresta. La strada ha tre fasi, la prima interlocutoria con 2km e mezzo di falsopiano che portano a Camaldoli, passati i due Bar dove si può mangiare quelle che sono le caratteristiche prelibatezze della zona, si inizia un tratto di quasi due km, più ardui, con un paio di passate al 13%. La strada sale e quasi non sembra ma ci accorgiamo dal fastidio delle cosce e dalla velocità letta sul computer che qualcosa sotto le ruote frena e ci rallenta.
Poco dopo, dinanzi ad una nuova Casa Cantoniera rivisitata a Rifugio, svoltiamo a destra verso l’Eremo, saranno ora 6km di strada persa nella boscaglia. Ci si perde se si prova a guardare attraverso gli alberi, non si vede molto altro che alberi, ombre, raggi che a fatica filtrano nel verde ed anche provando a cercare il cielo, non diviene facile scovarlo. Ad un km dall’Eremo, altra svolta a sinistra, ora sono 4 i km che ci dividono alla vetta di “Prato alle Cogne”. Le pendenze tornano a morsicare, non troppo costante, ma negli ultimi 500 metri quando si inizia a credere che sia finita, ci attendono le ultime rampe a doppia cifra. Non ci sono cartelli che ci danno conforto, non c’è in realtà un granchè che ci racconta dell’uomo e del suo passaggio, una strada un po’ rotta si snoda nel bosco per qualche centinaio di metri, in un falsopiano che finalmente ci conduce alla nuova discesa.
Prestate attenzione, non è bello l’asfalto, non sono belle le curve che con un gioco di luci ed ombre creano delle vere complessità. Per di più è abbastanza ripida e prendere velocità è molto facile. A complicare il tutto è la larghezza della carreggiata. Insomma tra tutte le discese di giornata, questa non concede molto spazio alle disattenzioni o rilassatezza. Entriamo in Lonnano, dopo un tratto particolarmente rovinato, riprendiamo fiato, possiamo rilassarci per qualche centinaio di metri, poi finalmente la strada trova luminosità ed aria e diventa più leggibile. Così dopo 4km piombiamo a Pratovecchio. Sono stati 13km tortuosi ma ora possiamo dimenticarcela e pensare all’ostacolo probabilmente più duro della giornata.
Entrando in Stia conteggiamo 77km, 2.000 metri di dislivello. Ci attendono altri 16 km di salita per arrivare sul Passo della Calla e finire le nostre salite di giornata.
Prima di darci all’ultima scorpacciata di km all’insù ci fermiamo al Bar per un panino, una Coca e riempire le borracce. Menziono un aspetto interessante e non da sottovalutare: sulla Calla ci sono 3 fontane freschissime, che possono aiutare a sormontare il Passo e dare respiro con l’annessa pausa. I primi 5km non sono memorabili, sono scalini che ti prestano all’attacco del sole, quasi sempre scoperti ai raggi, il caldo si fa sentire, ed affievolisce un po’ la spinta sui pedali. Per di più la salita non è regolare e invoglia a mantenere la catena sulla corona più grande, quando forse sarebbe congeniale alleggerire e mantenere margine per i km a seguire. Passiamo affianco ad un allevamento di trote, un paio di piccolissimi insiemi di case, poi ad un certo punto la strada diventa pianeggiate per 600metri, quasi scende e ci accorgiamo che stiamo andando incontro alla vera salita, ci infiliamo in un’insenatura della montagna, dove le verticalità del pendio fanno percepire che per arrivare lassù manca ancora parecchio. Un curva a destra inaugura una volta per tutte il principio: non sarà una salita ripida, affatto, il Passo della Calla non aggredisce, anzi, permette di fare velocità ma è lunga e non da preavvisi, la cotta può prendere all’improvviso e fregarti. Ad aiutarti sono i cartelli che cantano il conto alla rovescia dei km che restano alla cima. Anche su questa salita è la natura a dominare e ricordare che convivere con essa quando si è in bici, facilita l’escursione. Strada ampia che alterna curve rotonde a tornanti molto ampi, non ci sono veri e propri attimi di ostilità, non perdi il ritmo se lo riesci a trovare. Poi improvvisamente senti dei rombi, dei frastuoni che alterano la pace e il rumore del proprio respiro: i motori su questa strada perdono il contatto con la realtà, scambiando in certi casi, la strada per una pista. Se si hanno gambe e bella compagnia, ci si ritrova a Calcedonia – meno 3 dalla fine – in un batter d’occhio. Qui la fontana necessita di una pausa rapida, perché questa fonte sembra miracolosa, quasi contenesse zuccheri di rapida assimilazione.

Così gli ultimi km volano via e per magia il bosco si apre lasciando il campo ad un piccolo spiazzo cove si trovano spesso qualche camper, le moto che raffreddano le gomme ed un piccolo punto di ristoro. Il cartello dice Passo Calla, 1292 metri di quota, siamo a 92 percorsi e quasi 2850 totali di dislivello. Anche qui le temperature anche per luglio non sono calde. Il bosco che nasconde la strada regala una protezione consistente e troveremo per 4km ombra e verde. In 3 km superiamo la Campigna e procedendo salutiamo pian piano il fitto bosco; tornante a destra, tornante a sinistra, cartello Poderone sulla sinistra e per magia ammiriamo la parete ricoperta di verde sulla destra. Quello che dicono delle foreste Casentinesi è tutto vero, magia, intensità e un alto grado di spettacolarità. Basta guardarla da lontano la cima del Monte Falco e la sua imponente schiena per rimanere a bocca aperta. Scendiamo veloci, perché al discesa è bella, asfaltata molto bene, con curve ben interpretabili, in poche parole molto invitante. Così passiamo il Corniolo in pochi minuti; mancano 10km a Santa Sofia, un fondovalle che alterna discesa leggera con pianura. Ormai il bello è passato, non manca tanto alla macchina, non restano nemmeno tante energie, ma gli occhi ed il cuore oggi hanno avuto la loro parte. Via oltre Santa Sofia, anche se una salita di 400 metri di impegna come il Giuda del bitume.

Poco importa, ora Galeata è dietro l’angolo e non penso più alla fatica fatta; il bello è proprio questo, fai un grande sforzo e basta un’altra pedalata per dimenticarsi di quanto dura è stata quella precedente. Non saranno il Pordoi, il Sella, il Gardena ed il Campolongo, si chiamano Carnaio, Mandrioli, Prato alle Cogne e Passo della Calla, ma in concreto sono più impegnativi, sono altrettanto affascinanti e non si ha necessità di scappare lontano per poterli affrontare. Abbiamo anche Noi i nostri Quattro Passi, sono belli e meritevoli di uno sforzo, perché sono certo rimarranno nella mente e diventeranno un’abitudine in ogni stagione.