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A Forlì, se dici “bici?”, in tanti alzano la mano. La pianura che si stende ai piedi, la collina che s’inerpica alle spalle regalando asfalti con pendenze a due cifre, da sempre fanno delle nostre strade terreno fertile per gli appassionati delle ruote rotolanti. Portacolori nel mondo – è il caso di dirlo – di questa fiumana di ciclisti che, in maniera più o meno impegnata, popola questa parte di Romagna, è Matteo Montaguti. Meldolese 34enne, campione tricolore pistard di specialità, da 11 anni professionista, le ultime 8 stagioni con la maglia del team francese AG2R La Mondiale, dove si è ritagliato un solido ruolo di uomo-squadra. Già di per sé un traguardo invidiabile considerando quanto quella transalpina sia squadra tra le più ambiziose ai nastri del 2018, potendo puntare fortissimo sia al Tour con Romain Bardet che alle grandi classiche con l’alfiere Tony Gallopin. In attesa che la stagione agonistica entri, da marzo, nel vivo, Matteo Montaguti è nel pieno della preparazione.

Matteo, anzitutto, dove sei?

Sono di ritorno dalle Canarie. Da quando sono professionista, a febbraio, carico la bici e mi ritaglio un ritiro tutto mio. Curo ogni particolare, dal cibo ai percorsi. Di solito faccio un paio di settimane a Gran Canaria, tra le isole maggiori dell’arcipelago insieme a Tenerife; quella che per dimensioni permette di allenarsi al meglio sia per varietà di strade sia per il clima. Allenarsi in maglietta e pantaloncini è un bel vantaggio. Oltretutto, venendo da quattro settimane in Australia, evito lo shock del freddo che troverei in Italia.

Australia, dall’altro capo del Mondo…

Sono già tre anni che, ad inizio stagione, scelgo l’Australia. Quest’anno ho fatto tre corse di un giorno, tra cui la “Cadel Evans” e una corsa a tappe, la Santos Tour Down Under. Non sono impegni propriamente nelle mie corde ma sono buoni test, piacevoli da correre.

Hai già delle “sensazioni” rispetto alla tua preparazione in vista degli impegni di stagione più probanti?

Com’è normale, non correndo da una ventina di giorni, difetto un po’ di ritmo gara; i carichi di lavoro di questi ultimi giorni certo fanno da zavorra. Ma avrò presto occasione per recuperare: già martedì prossimo, mi attende una corsa di cinque tappe ad Abu Dhabi. Ci sono un paio di percorsi interessanti, un arrivo in salita piuttosto impegnativo. Una corsa non di prima fascia, utile più che altro per allenarsi in vista della Tirreno-Adriatica che è il mio primo vero obiettivo.

Oltre alla Tirreno-Adriatico a cosa miri?

La Milano-Sanremo, una corsa che mi piace tantissimo, a cui mi lega anche un buon piazzamento (13° nel 2016, ndr). Vorrei far bene, sfruttare la mia conoscenza del percorso sia per puntare a una posizione interessante sia per aiutare la squadra, i miei compagni quel giorno eventualmente più pronti di me. Di lì a poco inizierà la preparazione per il Giro d’Italia, prima in altura poi, ad aprile, prendendo parte al Tours of the Alps, il vecchio Giro del Trentino. L’idea è di arrivare in grande condizione al Giro per giocarmi tutte le mie carte. Il resto della stagione è ancora in via di definizione.

Hai fatto cenno alla tua squadra, l’AG2R La Mondiale. Una maglia che indossi da 8 anni. In altri sport saresti una bandiera.

Nel ciclismo rimanere a lungo nella stessa società non è poi così raro. In fondo, trovarsi a proprio agio in un team, conoscere dirigenti, allenatori, direttori sportivi, rispecchiarsi in una certa mentalità è un gran bel vantaggio. Se si considera che nella mia squadra – un team di prima fascia – siamo più di 60, metà dei quali corridori, conoscere l’ambiente è un buon punto di partenza.  

Resterai in AG2R anche in futuro?

Questo è l’ultimo anno di contratto; ed è un po’ presto per parlare di rinnovo. Ma se le condizioni saranno le attuali – che sono quelle ottimali – sarò felice di restare. In ogni caso oggi penso a fare una bella stagione, un Giro pieno di soddisfazioni. Poi vedremo.

Un’AG2R che si propone quale protagonista della stagione, sia nelle corse in linea sia nei grandi giri.

In questi 8 anni ho visto crescere tantissimo il team, vuoi per la capacità di chi lo dirige vuoi per la fortuna di aver trovato leader bravi ad imporsi specie in Francia. Puoi immaginare quanto per una società transalpina, con sponsor transalpino, fatta dalla gran parte di atleti francesi, esser riuscita negli scorsi anni a far bene al Tour possa voler dire in termini di risalto sui media e aspettative. Quest’anno, con un giovane di talento come Romain Bardet, davvero puntiamo in alto. Ha avuto recentemente un infortunio ma spero che partecipi alla Tirreno; sarebbe una buona occasione per correrci insieme, farmi valere ed entrare così nel novero dei papabili a partecipare al Tour. Sarebbe una bella soddisfazione.

Usciamo brevemente dal ciclismo: pochi giorni fa è stato San Valentino che, per chi ama questo sport ma non solo, ricorda la scomparsa di un grandissimo, Marco Pantani.     

Me la ricordo benissimo, ero appena un esordiente, in quel periodo pensavo solo alla bicicletta. Ero in camera mia, era tarda sera, davanti alla televisione. Mi piombò addosso questa notizia, mi pareva incredibile. Negli anni invece ho imparato che queste cose succedono. La vita dei grandi campioni, ma anche di atleti più comuni come me, è fatta di sacrifici che ti portano lontano dagli affetti. E non è facile conciliare tutto, la famiglia, il lavoro, lo stress, le aspettative. La morte di Marco, avvenuta in quel modo, ha fatto male a tutti. E’ bello che con il passare il tempo resti l’affetto per chi ci ha regalato tante emozioni. Penso anche a Michele Scarponi, scomparso in situazioni completamente differenti, ancora presente nel ricordo di tantissimi appassionati.    

La parabola di Marco Pantani, giocoforza, richiama il tema doping. In questi giorni problema tornato argomento di discussione per il caso Froome…

Froome è un campione, naturale che tutto ciò che lo riguarda faccia clamore. Visto che l’inciampo c’è stato è giusto che debba difendersi e spiegare. Anche se, su 25 controlli svolti in un’intera Vuelta, il fatto che sia stato trovato fuori norma solo una volta, oltretutto ad una sostanza non considerata in sé dopante se non a livello di quantità, dire che è un dopato in generale suona abbastanza ridicolo. E’ un leader, fa parte di un big team, è difeso dai migliori avvocati in circolazione: tutti elementi che, se non ha nulla da nascondere, renderanno più semplice il suo discolparsi.

Il doping resta comunque un problema complesso.

In generale, come in tutti i campi, anche nel ciclismo, chi vuole fregare ci sarà sempre. C’è da dire però che, a differenza di altri sport, i controlli cui i ciclisti sono sottoposti fin dalle categorie giovanili, sono i più severi, continui e certi. E non stiamo parlando di uno sport di nicchia, anzi, i praticanti nel mondo sono in crescita. Ci sono giovani – mi è capitato di vederlo in Australia – che addirittura non possono correre perché non hanno ancora avuto modo di esser sottoposti ai 3 controlli minimi necessari per esser iscritti a una gara pro. Purtroppo nonostante i passi fatti, il nostro sport ancora subisce l’onta del doping come si trattasse di una pratica diffusa; penso che tra pochi anni, i controlli e l’introduzione del passaporto biologico, oltre ad azzerare il numero di casi, riporteranno più equilibrio nel giudizio.

Tornando al ciclismo, quando ti rivedremo in Italia?

La prima corsa sarà la “Strade bianche”, l’Eroica per professionisti. E’ una gara affascinante ed impegnativa, molto tecnica. La farò senza prendermi troppi rischi visto che di lì a poco ci sarà la Tirreno-Adriatico. Resterò quindi in ritiro in Toscana con la squadra in vista crono di apertura della Tirreno, mercoledì 7 marzo.

 

[La foto di copertina è di Vincent Curutchet]