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Al sottoscritto, le frasi fatte, l’intercalare, ispirano parecchia repulsione. Ognuno ha i suoi limiti. Ma, a ben pensarci, quanto un bel “se non ci fosse, bisognerebbe inventarlo”, nella sua infinita impalpabilità, ben racconta della singolare evoluzione di Piazzale della Vittoria? Un sito, un portale – chiamatelo come volete – votato allo sport e a quanto vi gira intorno, Forlì-centrico, lontano da chissà quale idea commerciale, dove l’immagine vuole farsi voce e l’opinione stagliarsi sul chiacchiericcio. Solo a dirlo sarebbero applausi per Riccardo Fantini e Alberto Calderoni, gli ideatori di PdV. Alle intenzioni sono seguiti mesi sull’onda, in evoluzione e crescita: tanti autori autorevoli a popolarlo, spunti, letture differenti, idee. In breve, Piazzale era (è, sarà) un bel sito, ben fatto, divertente e intelligente. Non ci fosse stato, qualcuno avrebbe dovuto inventarlo… Sarà per questo, per non perdere una sana lettura quotidiana, che Alessandro Gigliotti – il motore di questa nuova avventura – ha inteso buttar se stesso e alcuni suoi validi collaboratori di Axterisco – Marco Ricci, Paolo Milandri, Federico Benini e Francesca Baldoni – per salvare questo progetto dalla deriva alla quale talvolta la vita spinge anche le belle cose. È venuto poi il mio turno, una telefonata, pochi giorni prima dello scorso Natale, la schietta proposta di far parte della truppa. E la conseguente domanda: come recuperare un oggetto complicato come Piazzale della Vittoria? L’eredità di Riccardo Fantini è pesante, è una cifra stilistica ben chiara e definita che faremo – io e le ottime penne che hanno deciso di collaborare, alcune sono delle luminose conferme altre delle novità da scoprire – di tutto per mantenere pur allargando i confini dell’interesse a più realtà possibili. Trovare un nuovo equilibrio non sarà semplice. Per farlo, le parole chiave son quelle di sempre, al solito dettate dal buon senso: chiarezza, impegno, competenza. Ci metteremo anche, ovviamente, tanto orgoglio forlivese perché parliamo della Nostra città. E perché raccontare in terza persona ingabbia la passione, non la spiega.