Ti sarà inviata una password tramite email.

Dopo l’entusiasmante vittoria di domenica contro l’APU Udine noi di Piazzale della Vittoria abbiamo avuto il piacere di intervistare il capitano dell’Unieuro Forlì, Daniele Cinciarini, (foto copertina di Massimo Nazzaro) col quale ne è uscita una chiacchierata interessante su presente e futuro.

Buongiorno Cinciarini, come ci si sente dopo una vittoria al cardiopalma come quella ottenuta domenica contro una grande Udine?

“Ci si sente carichi! La vittoria contro una grande squadra come Udine, che penso sia una delle tre squadre più forti di tutti e due i gironi, è stata una bella impresa, una di quelle che poche volte riescono e sono molto contento e soddisfatto per il gruppo che ha mostrato una grande tenuta mentale. Non era facile perché partivamo da sfavoriti, anche se giocavamo davanti al nostro pubblico, ma proprio per questo è stato ancora più bello. Ancora ieri c’era euforia per le strade e questo è gratificante anche per l’apprezzamento che il pubblico ha avuto nei confronti di una squadra che ha lottato per colmare il gap contro un’avversaria che ha certamente un roster molto importante. Adesso però testa a domenica, a cui abbiamo già cominciato a pensare, perché Trieste sarà un’altra tappa molto difficile contro una squadra costruita per vincere la Serie A2”.

Lei è stato autore di una prestazione di assoluto livello che denota anche una grande condizione atletica e mentale. Qual è il segreto per mantenersi così in forma a 40 anni?

“Certamente non farlo dall’oggi al domani, quello è sicuro. Chi mi conosce sa che sono sempre stato un professionista con la P maiuscola nel senso che sin da quando ho iniziato a giocare ho sempre fatto una vita di molti sacrifici, la cosiddetta vita da atleta, fatta di casa, palestra, poche uscite extra e tanta concentrazione per la pallacanestro che è lo sport che amo. Anche una corretta alimentazione credo sia fondamentale per un giocatore, tanto che ho sempre rinunciato ai cosiddetti sgarri che mi concedo solo nei giorni dopo la partita. A volte ci si dimentica che è uno sport e non è un lavoro e una delle chiavi di volta ritengo sia sempre viverla con molto entusiasmo anche quando i carichi si fanno pesanti. D’altronde non tutti hanno l’opportunità o il privilegio di fare uno sport bello come la pallacanestro con tanta passione e, questa passione alla fine, unitamente agli stimoli che uno sente dentro, sono il segreto per fare tutto quello che ho detto per arrivare ad essere ancora competitivi anche a 40 anni”.

Quando lei era a Ravenna e ancor prima a Bologna i suoi attuali tifosi non gliele hanno certo risparmiate. Come vive un professionista il passaggio in certe piazze che prima gli erano così ostili?

“Con l’esperienza, man a mano che passano gli anni, impari ad affrontare queste situazioni. Ne ho passate tante perché anche quando giocavo a Montegranaro, poi a Pesaro, poi a Caserta, che sono grosse rivali tra loro, ho vissuto un po’ le stesse dinamiche. Adesso quest’ultimo trittico Bologna, Ravenna ed ora Forlì, ma devi prenderle dalla parte positiva perché siamo professionisti e il passato è passato, mentre oggi devi pensare al presente e a dare tutto per la maglia che indossi. Alla Fortitudo sono stato molto bene, a Ravenna altrettanto ed oggi che sono a Forlì sto molto bene qua e do tutto per questa maglia perché sono un professionista serio e per quanto rispetti le opinioni altrui preferisco stare lontano da certe dinamiche e concentrarmi sul presente che oggi si chiama appunto Forlì”.

Ogni stagione ha una sua storia. Rispetto alla precedente come e in cosa è cambiato il suo ruolo in campo e all’interno dello spogliatoio?

“Innanzitutto da capitano cerco sempre di tenere unito il gruppo, di mettere la mia esperienza al servizio dei compagni e di aiutare la squadra laddove ce n’è bisogno. Non m’importa se non segno 20 punti tutte le partite perché non mi interessa questo e quando diventi più maturo ed hai una certa carriera alle spalle capisci che quello che conta è la squadra perché se questa va bene ogni singolo acquista importanza, viceversa, se va male, anche il singolo perde di valore. Per fare un esempio pratico, nella partita di Chiusi mi sono dato da fare più in difesa che in attacco perché la squadra necessitava di aggressività su un campo dove è caduta anche Piacenza. In sostanza quello che cerco di trasmettere ai miei compagni, che è poi anche il credo del nostro allenatore, è che conta il noi e non l’io. Al primo posto deve sempre esserci il noi e lo scorso anno insegna, col noi siamo arrivati a giocarci la finale promozione. D’altra parte nello sport di squadra bisogna esser disposti a sacrificarsi l’uno per l’altro. Quindi, per rispondere alla domanda iniziale, quest’anno il mio compito è un po’ quello di ricreare quello spirito di sacrificio. Fortunatamente sono supportato dagli altri tre che la società è stata brava a confermare per instradare i nuovi verso questa mentalità di gruppo”.

A che punto è il processo di crescita della squadra?

“Rispetto allo scorso anno stiamo impiegando un po’ più di tempo per raggiungere il giusto amalgama, ma è un fatto normale. Fu particolare la passata stagione nella quale girò tutto per il verso giusto da questo punto di vista, dove anche la componente fortuna giocò un ruolo importante. Oggi siamo a un buon punto, dobbiamo conoscerci meglio in campo, possiamo fare di più sicuramente, però il percorso di marcia direi che è in linea con le aspettative”.

Per lei che è un vincente, un competitivo, quando si arriva ai finali di partita punto a punto cosa le si scatena dentro? Quali sono le principali emozioni e sensazioni che la pervadono?

“I finali di partita mi sono sempre piaciuti tanto e ho sempre voluto la responsabilità perché è un po’ una sfida con se stessi. Ovviamente il tutto va contestualizzato, come dicevo prima, in un concetto di squadra nel senso che ogni partita, a seconda delle situazioni, va letta e giocata con un tiro importante che può prenderselo uno come un altro in base al momento. E’ chiaro che la freddezza di quegli istanti la costruisci solo con l’esperienza, più vai avanti e più diventi scafato e sai quello che ci vuole anche se di base devi essere un agonista e amare questi momenti già di tuo e non avere paura di affrontarli. Nell’ultima partita con Kadeem (Allen n.d.r.) fuori per falli sono stato molto contento per Fabio (Valentini n.d.r.), al quale non abbiamo mai fatto mancare la nostra fiducia, che si è preso le sue responsabilità e nel finale ci ha dato una grossa mano. L’importante è saper leggere bene la partita, non strafare e quando c’è l’occasione prendersela e fare le cose con decisione”.

Qual è il giocatore avversario più forte col quale ha incrociato le armi e quale il difensore che più l’ha fatta soffrire?

“Uno su tutti, con cui però ho giocato in squadra, era un certo Bodiroga, da avversario invece ce ne sono tanti, ma se devo sceglierne uno dico Keith Langford con cui ho anche giocato a Biella. Quando esplose a Bologna, poi successivamente giocò anche a Milano, era un giocatore assolutamente immarcabile, sicuramente uno degli americani più forti con cui mi sono scontrato. Parlando di difensori in primis dico tutta la difesa della Mens Sana Siena che era un qualcosa di impressionante. Con loro eri praticamente murato vivo (ride). Singolarmente direi Charles Smith, detto il ragno, guardia/ala di 196 cm. che giocò anche a Udine. Ecco, con lui quando decideva di difendere duro non passavi la metà campo. Anche i nostri americani sono due che difendono. Johnson è già scafato, conosce il nostro campionato e sa come muoversi, ma Allen mi ha sorpreso è uno che difende duro perché ci ha raccontato che quando era a Boston doveva marcare un certo Kyrie Irving che non è propriamente uno semplicissimo da marcare”.

Lei è il veterano nonché il capitano del gruppo e sicuramente Antimo Martino ha avuto un peso sul suo arrivo prima e sulla sua permanenza poi a Forlì. Da Roma a Bologna sino in Romagna com’è cambiato il coach negli anni? 

“Innanzitutto è un coach che ha la pallacanestro nelle sue vene. Ricordo quando era assistente allenatore di Repesa a Roma, squadra nella quale militavano anche il sottoscritto e Giachetti, era sempre in palestra o a vedere video per imparare dai migliori ed ha fatto della cura dei dettagli uno dei suoi punti di forza. Sicuramente da allora è cambiato, è cresciuto tanto e mi piace molto perché è un allenatore che guarda sempre al gruppo e non al singolo e questo in uno sport di squadra è fondamentale e si sposa perfettamente con la mia filosofia. Ho lavorato con lui a Bologna e quando è venuto a Forlì è stato facile incontrarci e lui è certamente uno dei motivi per i quali ora sono qui”.

Al termine di questa stagione compirà 41 anni. Ha già le idee chiare sul suo prossimo futuro?

“Per me gli anni sono solo un numero per cui potrebbero essere anche 50. Scherzi a parte, ricollegandomi alle domande precedenti, per ora penso solo a vivere e godermi il presente. Questa è la mia ventitreesima stagione e con questo non dico di non aver pensato al futuro, anzi, devi avere sempre un piano b o un piano c, però sono bravo a godermi il presente e dare tutto per non aver rimpianti. Al momento mi vedo solo come giocatore e se fosse per la passione giocherei a vita, ma dovrò vedere di anno in anno cosa mi concederà il mio fisico. Nel momento in cui il fisico mi lancerà un segnale allora penserò al da farsi. Ora come ora non so fino a quando o quanto ancora giocherò, però in futuro non nascondo che mi piacerebbe rimanere nell’ambiente con un ruolo dirigenziale. Sicuramente non farò l’allenatore, sia perché ho avuto un esempio in famiglia con mio papà, sia perché è un ruolo che si addice meglio a mio fratello Andrea. Pertanto, in base alle capacità e alla abilità che ritengo di avere, mi vedo più in un ruolo da dirigente sempre a contatto con la squadra, ma non come allenatore e di questo ne sono certo”.

Si ringraziano la Pallacanestro Forlì 2.015 e Daniele Cinciarini per la disponibilità nel realizzare la presente intervista.