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Il Giro d’Italia si è concluso appena due giorni fa. E ieri, lunedì, è stato un giorno strano, quasi mancava un po’ di aria, sentivo la nostalgia del risultato di Tappa, delle classifiche da andare a scrutinare, l’attesa per cercare il contatto diretto con Matteo. Un momento quotidiano che concedeva un’aderenza, quasi fosse possibile entrare dentro all’universo della carovana rosa, una forma di concessione nello stare tra i corridori, carpirne le fatiche, le emozioni. Qualcosa che con la fine del Giro viene a scomparire.

Rimane poi la storia delle 21 Tappe, i frammenti emotivi di Matteo, le mie opinioni personali che diventano fandonie, perché ridimensionate dalle prestazioni dei corridori, pensieri che si aggrovigliano e che si sciolgono soltanto alla fine della corsa. Sono stati 21 giorni difficili per i corridori, nei quali tra trasferimenti disumani – non ultimo quello di sabato sera, nel post-tappa con l’arrivo a Cervinia – e le fatiche di un tracciato senza respiro, hanno reso questa Edizione una vera impresa da controbattere. “Incredibile, oggi è stata una giornata infernale, tappa impestata, durissima, arrivo arduo ed ora ci ritroviamo stipati dentro un autobus, quasi fossimo studenti che devono andare da casa a scuola, mentre ci accompagnano all’aeroporto, per poi trasferirci a Roma!”.

Vederli salire su verso Cervinia ha qualcosa di mistico, un qualcosa che mischia dramma sportivo e leggenda. Questo Giro è stato durissimo, per un percorso tanto esigente, ed ancor più per una verve del gruppo che lo ha reso ogni singolo giorno una vera lotta contro se stessi. Alla fine non ha vinto solo il più forte, non se la sono vista primeggiare i più talentuosi, piuttosto quelli che hanno sfoggiato più grinta e risorse nervose per controbattere la soglia del dolore. “Questi ultimi tre giorni sono stati indescrivibili. Sono caduto prima del Colle delle Finestre, sono finito contro un guardrail, in una curva in discesa. Lì, di primo acchito, a botta calda, non ho sentito troppo il contraccolpo, ma, più passavano i chilometri e specialmente dopo la Tappa, la botta ha fatto sentire il suo lato peggiore!”.

Matteo aveva tentato la fuga anche nella Tappa regina del Giro, prima di iniziare il Colle delle Finestre – salita che ha in pratica delineato le gerarchie della Classifica Generale finale – aveva preso il largo, qualche decina di secondi, che non hanno preso vigore, ma le idee erano chiare: provare e ritentare. Come dal principio, quell’obiettivo non tanto celato di puntare ad una Tappa. “Era il mio obiettivo iniziale, nessuno può recriminare sul fatto che non ci abbia provato (sono state almeno 8 le Tappe nelle quali ha trovato la fuga od ha assaporato per qualche chilometro l’aria del fuggiasco, ndr). Lo andavo dicendo dalla partenza che stavo bene e che la condizione mi supportava, ma la fortuna non ci vede sempre bene, altresì la malasorte ha una buona vista!”.

Nella giornata della caduta, Matteo ha raggiunto il traguardo di Bardonecchia, dopo 4500 metri dislivello e quattro colli scalati, in ottima posizione, manifestando quella condizione della quale abbiamo evidenziato più volte la solidità. Nella Tappa che forse rimarrà negli annali del Giro d’Italia per qualcosa che nel ciclismo moderno era ormai una rarità, per non dire una chimera: Chris Froome, che pareva dopo Sappada spacciato, quasi relegato a comparsa (nonostante la “tacca” dello Zoncolan), si è preso il palcoscenico con un’azione d’altri tempi. Fuga solitaria con scatto folgorante sullo sterrato del Colle delle Finestre e galoppata solitaria per oltre 80km, con conseguente successo di Tappa, conquista della Maglia Rosa e un oceano di applausi, quasi increduli. Meritati, specialmente per un corridore sempre ritenuto troppo compassato e relegato al ruolo del calcolatore che misura i giri delle gambe come fossero quelli di un motore di un’automobile che deve razionare carburante, ottimizzando la cilindrata. Le frullate di Froome sono spesso risultate micidiali, ma sporadiche, con quella fantascientifica sgasata sul Finestre ha non solo staccato gli avversari, ma spazzato via anche i dubbi sul suo spessore di corridore.

Tappa e Maglia, dunque, ma non era certo finita sulla salita di Bardonecchia. Restava ancora Cervinia ed un’altra frazione con salite lunghe, campo ben assortito per concedere un’ultima occasione a Dumoulin, che in classifica scontava soltanto una quarantina di secondi. Cervinia per me è stata una scalata senza fine, la botta del giorno prima si è non solo appesantita nella notte, ma soprattutto nel principio di Tappa. Ho esagerato ritrovandomi in avanscoperta con Viviani, e dando poi due tre strattoni il dolore è divenuto lancinante. Onestamente non so cosa ci sia, ma non è qualcosa di bello. La notte sarà consigliera, ma ho quasi timore di non poter partire proprio l’ultimo giorno”. Il Giro, nelle sue ultime battute, ha reso ancora più spinosa la pratica, come non bastassero i chilometri, le salite e la stratosferica velocità di corsa, i trasferimenti biblici, ogni giorno un delirio di logistica quasi machiavellica, ci si è messa pure una caduta che poteva essere rovinosa.

“L’ho finito!”Sì, Matteo, lo hai messo nel cassetto, e sebbene i rimpianti per non aver centrato quella fuga giusta o per quel chilometro di troppo, hai corso con il coltello tra i denti, hai fatto valere i tuoi numeri, hai mostrato quella caparbietà che ti rendono sotto tutti i punti di vista un Super Corridore. Il punto più alto è stata senza dubbio la giornata di Montevergine. Potevo vincere sul serio, mancava solo un chilometro e mezzo al traguardo, ero in condizione di poter riprendere il corridore davanti a me, me la sentivo a portata di mano”. Quasi viene da sorridere. Quello che forse è il giorno più dolceamaro del Giro, è anche il grande manifesto di quello che ha tirato fuori sul palcoscenico più prestigioso del nostro ciclismo: tenere testa al gruppo famelico che non riusciva ad acchiapparlo! “In contraltare, complice la caduta del giorno prima, a Cervinia ho sicuramente trovato la mia giornata peggiore, stravolto dal dolore, stanco ed onestamente rattristato, quasi incredulo”.

Un Giro, quindi, che si chiude con tante luci, una botta da guarire, una convinzione che nelle giornate giuste possa giocarsela con tanti e che forse il rimpianto di Prato Nevoso – è qualcosa di non detto, per non apparire troppo presuntuoso -, numeri alla mano, un’occasione non colta. Sono mediamente felice del mio Giro, avendo raccolto meno di quando avessi seminato. Condizione e tentativi di conquistare questa benedetta vittoria non sono mancati. Volevo quella vittoria, non è facile dirti con quanto animo me la sentissi dentro. La fortuna, se vogliamo definirla così, però, non mi è stata troppo amica”.

Non sono un “addetto ai lavori”, tanto meno non ho le facoltà per dire cosa avrebbe potuto fare di meglio. Per di più tengo a Matteo come fosse un amico d’infanzia, perché ha un cuore enorme, una disponibilità invidiabile e, senza nulla togliere agli altri, una classe nel dire le cose che non è scontata. Però il suo Giro è stato davvero notevole, corso alla ribalta, attento, coraggioso. Non penso sia mancato lui, bensì forse le dinamiche di corsa hanno fatto sì che giocasse le carte sui tavoli sbagliati. Ma è come un gioco di azzardo, il ciclismo. Ogni giorno vi è una partita da giocare, e purtroppo le fiches in mano non sono infinite. Si puntano in più occasioni, ma poi finiscono tutto d’un tratto e, magari proprio quando servirebbero, non se ne hanno più o si è deciso di stare a bordo campo a guardare.

Matteo sa bene che più di così non poteva dare. Scendere domenica pomeriggio dalla bici, a fine Tappa, sarà stato emozionante proprio per questo motivo. Orgoglio massimo per aver chiuso un percorso di tre settimane sudando, gettando le energie oltre i confini dell’umano, raggiungendo Roma ed il Colosseo con le ultime energie rimaste. Tutto questo è un grandissimo risultato, che sia arrivato primo od ultimo, non aver mollato mai, essere andato fino in fondo, è già di per sé un traguardo immane.

Insomma, complimenti & grazie. Per tutto.