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Due estati fa il Forlì si apprestava ad iniziare la sua seconda stagione consecutiva tra i professionisti in una situazione invidiabile. Veniva da un lustro abbondante di felicità sportive (quattro promozioni in sei anni dopo il crac Oliveti), durante il quale sotto la guida Conficconi era stato attentissimo a mantenere a posto i conti forte anche di una eccezionale continuità tecnica arricchita da un gruppo di giocatori, Sozzi, Balestra e Mordini in primis, disponibili per amore della maglia ad alzare ogni anno l’asticella personale e di gruppo. Parola chiave: appartenenza (la ritrovate anche nell’intervista a Gadda, non è un caso).

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Curiosamente al culmine di quella esperienza il Forlì si incaponì nella direzione opposta. E infatti l’idillio finì in fretta.

Autunno del 2014: la società di viale Roma, terrorizzata all’idea di tornare tra i Dilettanti nonostante un inizio di campionato a galleggio della zona salvezza, perde clamorosamente il controllo della situazione e cambia durante la stagione tre allenatori (Rossi, esonerato dopo una vittoria sul San Marino e con la squadra salva, Vanigli e infine Firicano), una marea di calciatori (qualcuno ricorda Rosafio?), diesse (Menegatti), dg (Pedroni) e pure presidente (appare Fabbri). Tra un litigio e l’altro il Forlì mette per la prima volta dalla rinascita, seriamente, a rischio la propria esistenza.

Qualche conto

Nella stagione 2013-14 il margine operativo loro era stato negativo solo di 5.275 euro mentre nel 2014-15 è passato a 317.094 euro. Nonostante l’aumento del valore della produzione (ossia delle entrate) che è cresciuto di ben 261.685 euro (+18,8%) c’è stata un’esplosione delle voci di costi. In particolare è decollato il costo del personale di 386.599 (+41,6%) e da solo è stato superiore all’aumento del valore della produzione. Inoltre sono aumentati i costi per godimenti di beni di terzi (solitamente gli affitti) di 40.000 (di fatto sono raddoppiati) e i costi per servizi (in questa voce ci sono i costi per le trasferte, per il servizio biglietteria, per i medici e medicinali, arbitri, consulenti ecc…) sono aumentati di 110.994 (+40%).

Sul lato finanziario la perdita ha creato un grosso disequilibrio. Il patrimonio netto è diventato negativo e per questo ha richiesto un aumento di capitale. I debiti verso le banche sono decollati a 400.000 euro (circa) di cui 265.000 in un mutuo della durata di 4 anni (era 300.000, il rimanente è stato rimborsato). C’erano poi 60.000 di debito verso i soci Gurioli, Fabbri, Tesei e Brunelli, che hanno fatto un prestito non oneroso alla società. Per una società con patrimonio netto negativo e un valore della produzione di 1,6 milioni, una perdita di quasi 500.000 euro e un debito finanziario di 460.000 euro ha rappresentato un rischio enorme. Il Forlì, per chi non l’avesse capito, ha rischiato davvero di chiudere bottega.

E poi?

In attesa che venga pubblicato nelle prossime settimane il bilancio 2015-16 possiamo solo immaginare che il subentrato presidente Fabbri abbia convinto i soci, che nel frattempo sono diventati sette, a impegnarsi anche personalmente, sopportando un campionato di serie D come quello appena passato. Senza sbocchi (c’era il Parma di Barilla e una sola promozione) il Forlì ha sperato nel ripescaggio in Lega Pro, probabilmente l’unica strada possibile – grazie ai contributi federali, centinaia di migliaia di euro – per risanare i conti. E il ripescaggio è arrivato. A questo punto la società proverà a compiere una doppia impresa degna della Pellegrini: attraversare in subacquea la stagione di Lega Pro massimizzando incassi al botteghino (le avversarie aiutano, le politiche di promozione del brand e di affiliazione emotiva molto, molto, molto meno), sponsor e contribuzioni federali, portando al contempo la squadra alla salvezza in un girone tanto affascinante quanto complicatissimo dal punto di vista tecnico. Dopo 9 partite (11 con la coppa) senza neanche una vittoria sembra che l’impresa sia fuori portata. Ma la stagione è ancora lunga.

Linea Pasadena

Presente la finale di Coppa del Mondo in cui Baggio calciò alto il rigore decisivo col Brasile? (io sì, avevo 14 anni e fu l’unica volta in vita mia in cui piansi per una partita di pallone).

Ecco, per fare ricca la società i ragazzi di cui sarà zeppa la squadra biancorossa non devono essere nati prima di quell’anno. L’assemblea del 12 settembre scorso ha stabilito infatti i criteri di suddivisione dei proventi della cosiddetta Legge Melandri (25 milioni? non si sa ancora). E se il 40% dei contributi federali sarà destinato a pioggia a tutte le 60 società di Lega Pro, il 35% verrà suddiviso con un calcolo astrofisico: 0,60 di quota per i nati nel ’94, 0,80 per i ’95, 1 per i ’96, 1,2 per i ’97, 1,3 per i ’98. Con incremento ulteriore nel caso il ragazzo sia cresciuto per cinque anni nel settore giovanile della società stessa.

Per questo, nell’ottica di ottimizzare gli introiti, il Forlì ha imposto fin dall’estate a Cangini e Gadda una linea verdissima con solo 9 ‘over’ in rosa: finora in tutte le partite, fatta eccezione per la coppa Italia, la squadra biancorossa era di parecchio più giovane degli avversari. Nell’ultima contro il Parma la differenza di età, nonostante Gadda abbia schierato per la prima volta in campionato solo due under 22 (Turrin e Ponsat) era di 56 anni a vantaggio degli emiliani. Tanta, tantissima esperienza.

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Ma anche nei match precedenti il Forlì si è confrontato con squadre che non hanno imposto al loro tecnico l’impiego di almeno tre/quattro giovanissimi: compito improbo per Gadda che – immaginiamo – avrà accettato la conduzione di una squadra tecnicamente al limite della sopravvivenza sportiva impugnando però la completa libertà d’azione tecnica.

D’altro canto chi dentro al Forlì potrebbe metterne in discussione l’operato tattico? Domanda retorica alla quale sarebbero felicissimi di rispondere, in ordine di esonero, Bardi, Rossi o anche Vanigli.