Per la prima volta in vita mia ho seguito per un anno interno – una stagione intendo – una squadra di pallacanestro. Non mi era mai successo prima nonostante fin da bambino sia un fruitore bulimico di sport. Ho seguito la Pallacanestro 2.015 anche in trasferta, non sempre ma abbastanza spesso, e ammetto di essermi appassionato alle sorti della neonata società biancorossa. Sarà l’ambiente, sarà che c’è Gira di mezzo, un amico, sarà che ho intravisto dietro ai pick and roll una società che avrebbe tutto, ma proprio tutto, per portare il nome di Forlì finalmente ai vertici di uno sport popolare. Non quanto il calcio ma comunque popolare.
Sì, il basket ora mi piace. Mi è piaciuto vedere Bonacini crescere in quel modo, mi è dispiaciuto per Vico e Crockett, sono stato a lungo convinto che in qualche modo mistico Ryan Amoroso sarebbe stato l’uomo-salvezza (che alla fine non lo è stato), mi sono chiesto cosa cosa frullasse nella testa di Melvin quando tirava fuori ritmo da cento metri, e faceva pure canestro. Ho visto da dentro il tendone di Scafati, ho spiato morbosamente il gruppo Facebook di Gramellini, una roba che se non ci siete dentro non potete capire quando la pallacanestro sia appiccicata addosso ai forlivesi. Ecco, alla fine del mio primo campionato di basket capisco un po’ di più Bilancioni ma ne so ancora rasente zero di zona press e in generale di quelle cose di cui parla qui su Pdv Antonio Giannetti, al quale mi abbevero con totale e disillusa umiltà: non arriverò mai, questo è sicuro, a capirne di pallacanestro quanta ne capisce lui o almeno quanta ne capisco io – sempre poca – di calcio. Quindi tanto vale restare in superficie. E proprio dalla superficie, surfando su un’onda emotiva che mi ha travolto qualche giorno fa, mi prendo la libertà di implorare un acquisto al prossimo Gm dell’Unieuro (arriva? sarebbe ora): Portami Ndoja.
Ho visto giocare il ragazzone venerdì scorso, al Palafiera, in occasione di gara 3 della semifinale playoff tra Ravenna e Virtus Bologna. L’avevo già incrociato (Unieuro-Virtus, 2 aprile) e mi aveva colpito, sì, ma non abbastanza da mettere in piedi un epistolario con Nicosanti.
Ai tempi ero concentrato sulla salvezza di Forlì e non ero (non sono) ancora sufficientemente preparato per attraversare una partita di basket sui tanti piani che la compongono: tattiche, avversari, stato di forma, momenti. E’ al secondo appuntamento che ho perso davvero la testa: sgombro da interessi localistici, ho seguito le pieghe di gara 3 e, soprattutto nel secondo tempo, non ho potuto far altro che pensare: ma come sarebbe avere questo qua a Forlì? Quanto sposterebbe in termini tecnici certo, ma anche e forse soprattutto emotivi, di partecipazione, di fiducia? Quanto calzerebbe a pennello presentare Ndoja al Palafiera dopo una stagione come quella che abbiamo appena vissuto: moscia, balbettante, insicura… Sarebbe una goduria pazzesca. Allora in preda ad irrazionale euforia ho scritto all’unico uomo Unieuro al quale posso permettermi di scrivere su Whatsapp.
Mi ha addirittura girato il link di un libro su Ndoja! Ci avevo visto giusto.
Dalla guerra civile e i proiettili vaganti nella natia e mortale Albania all’incontro con papa Francesco in piazza San Pietro come rappresentante del Centro Sportivo Italiano. Da clandestino invisibile sbarcato nell’Italia difficile ma generosa del nuovo millennio ad acclamato capitano di una squadra di Serie A di pallacanestro. Questo e tanto altro è Klaudio Ndoja, un ragazzo particolare che ha avuto il grande merito di non darsi mai per vinto quando tutto il mondo attorno sembrava stesse per crollargli addosso. Da quel momento in poi è stata una scalata faticosa, lastricata di sacrifici e sudore, ma percorsa sempre a testa alta, senza mai arrendersi, provando con orgoglio e con tutte le proprie forze a vincere l’ultima partita di ogni stagione. Perché, come ha detto lui stesso con voce rotta al microfono, davanti al papa e a una platea di migliaia di persone: “Non sono un campione sportivo, ma credo di esserlo nella vita grazie all’insegnamento dei miei genitori e dello sport. E dico ai ragazzini: se avete un sogno andate avanti, combattete, abbiate sempre fede. Tutto è raggiungibile, io ne sono la prova”.
Ordinata seduta stante la biografia del prossimo lungo biancorosso mi sono informato sulle sue ambizioni, e mi par di capire che è uno perfetto da A2, e sullo stipendio che, nel caso, bisognerebbe versare sul cc del ragazzo: appurato quanto Unieuro ha speso per foraggiare il ciclista Blackshear, e non essendo io a dover tirar fuori la grana, devo dire che mi sembra un tipo di ingaggio del tutto adeguato alle finanze della società biancorossa. E se c’è bisogno di qualcuno che lo vada a prendere, ovviamente col gommone, sono disponibile ad imparare a remare.