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Dwayne Davis, ovvero ‘il barba’ nostrano e prossimo avversario della PF 2.015, si è dimostrato fin qui il giocatore più immarcabile – e probabilmente decisivo – del campionato.

Il parallelismo (a rispettosa distanza) con James Harden non si ferma alle ambizioni di Mvp della lega o al look barbuto: taglia fisica ‘generosa’ per il ruolo e uno stile di gioco arrogante, quasi irridente. Nel suo unico anno a Southern Mississippi (2013), ateneo noto più per il football che per il basket, grazie al suo gioco aggressivo e ad un tiro mortifero Davis si è guadagnato le attenzioni di diverse squadre Nba e discrete chance di essere scelto al secondo giro.

Il sogno Nba non si è avverato ma Davis nel frattempo si è costruito una solida carriera in Europa fra Spagna e Grecia. Un traguardo incredibile per un ragazzo che a soli 13 anni ha dovuto superare ostacoli decisamente più grandi di lui: a quell’età, con una vita già complicata dalla povertà e dalla ‘canonica’ assenza della figura paterna, il piccolo Dwayne ha dovuto sopportare anche la perdita improvvisa della madre. A 13 anni, senza parenti o amici cui chiedere aiuto né la possibilità di pagare un affitto o avere pasti regolari Dwayne ha dovuto provvedere anzitutto alla propria sopravvivenza e a quella dei suoi due fratelli minori, una sorella di 8 anni e un fratellino. Senza fissa dimora né soldi per mangiare la vita del piccolo Dwayne e dei suoi fratellini per un certo periodo si è scandita fra i centri di accoglienza per senzatetto e l’automobile della madre, che Dwayne imparò a guidare ben prima di essere in età da patente. La stessa auto che in seguito userà come ‘negozio’ per ricettare playstation rubate, racimolando così il necessario alla sopravvivenza. Ancora oggi se gli chiedete come sia stato possibile emergere da una situazione tanto disperata vi risponderà che se non se ne capacita nemmeno lui.

Come si può ben capire non c’è difesa o avversario che possa mettere in soggezione questo nativo di Philadelphia, che ha costruito il proprio tocco vellutato e la propria irruenza sui playground, usando il basket prima come via di fuga da una vita familiare problematica poi come vera e propria fonte di sopravvivenza. Il suo è un basket fatto di prepotenza fisica e ball handling di prima classe, con cui sa spezzare i raddoppi o trovare spazi apparentemente inesistenti, ma quello che più impressiona è la sua capacità di inventare canestri da distanze siderali, anche con il difensore addosso. In questa stagione il n. 24 arancio-blu ha rovinato il sonno a tanti avversari: contro le sue giocate ‘ignoranti’ qualunque tentativo di opporre una difesa efficace può risultare inutile. Fortunatamente la continuità non è la specialità della casa, non sempre è connesso con la partita. A volte ‘dimentica’ di attaccare il canestro accontentandosi di sparare i suoi siluri dalla distanza, la speranza quindi è quella di trovarlo in una giornata ‘normale’: in caso contrario qualunque piano difensivo è destinato a saltare. Al suo fianco nel ruolo di secondo violino si è calato magistralmente Tim Bowers, capace a 36 anni di sfoderare una delle sue migliori annate.

Bowers, guardia/ala che fa della completezza il proprio punto di forza, è l’equilibratore del gioco jesino a cui apporta rimbalzi, punti, assist, difesa e tanto fosforo. Insieme i due americani producono oltre il 50% dei punti, quasi il 70% considerando anche gli assist, e si completano alla perfezione: se Davis è l’attaccante capace di spaccare in due la partita Bowers è il regista occulto, incaricato di leggerla e distribuire palloni e responsabilità anche ai vari Maganza, Benevelli, Alessandri.

Espugnare il PalaTriccoli e sfatare una tradizione negativa per i colori biancorossi non sarà quindi una passeggiata, non è un caso che in questa stagione ci siano riuscite solamente formazioni di alta classifica. L’appetito del popolo biancorosso però è ormai pantagruelico: 600 tagliandi bruciati in prevendita, 4 pullman già riempiti. A distanza di due settimane dall’esodo di Ancona il Palafiera si prepara a traslocare una seconda volta nelle Marche per sostenere la PF in un’altra partita chiave: il calendario recita Imola-Treviso e Recanati-Chieti. Vincendo a Jesi la PF potrebbe mettere nel mirino quel quartultimo posto che vuol dire salvezza diretta, mentre in caso di vittoria degli abruzzesi al PalaRossini potrebbe distanziare Recanati di 4 lunghezze.


Unieuro in missione

Il morale della truppa di Giorgio Valli è alle stelle e non potrebbe essere altrimenti: vincere contro una Verona lanciatissima, per di più al termine di in un match durissimo sia dal punto di vista dei contatti fisici che dello sforzo mentale, indica il raggiungimento di una solidità inseguita per tutta la stagione: la PF è finalmente squadra, padrona del proprio destino e consapevole della propria identità fatta di difesa e intensità. Anche nelle fasi della partita in cui il pallone non voleva entrare e la Tezenis dava l’impressione di poter piazzare l’allungo decisivo la PF non ha dato il minimo segno di cedimento emotivo, traendo la propria serenità da quanto stava facendo nella metà campo difensiva.

Non c’è ragione di pensare ad una PF appagata o distratta a questo punto della stagione, se la squadra scenderà in campo a Jesi con l’attitudine vista nelle ultime gare non ci sono dubbi: il poker