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Ciascuno di noi conserva un suo
personale pantheon di rimpianti. Giocatori sui quali avremmo scommesso un paio
di familiari e invece si sono rivelati bufale col marchio dop sulla maglietta.
Il capitano della mia squadra ideale ad esempio è il brasiliano Araujo Martins
Beto. Come chi. Giovanissimo
volante
del Botafogo, arrivò 21enne al Napoli di Ferlaino su richiesta di mister Simoni
che l’aveva scelto per affiancare in mediana il francese Boghossian. Era
l’estate del 1996 e mentre il presidente partenopeo smorzava i facili entusiasmi
della piazza (‘Non abbiamo bisogno di Baggio, Beto è un degno sostituto’), una
sera di fine agosto, lungo il sentiero che portava agli spogliatoi, il mio
allenatore mi confidava come il quarto segreto di Fatima che Beto sarebbe
diventato sicuramente il più forte centrocampista del mondo. E io 16enne con un
conetto sulle spalle al mio allenatore credevo, sempre. Avevo una perla tra le
mani: strappai Beto a suon di fantamilioni alla concorrenza, seguendolo poi con
affetto incommensurabile e pesando col bilancino ogni parola di ogni pagella di
ogni quotidiano del lunedì.

Finì malissimo il mio
fantacalcio e anche l’avventura italiana del brasiliano Beto, dimenticato a
Napoli e cacciato dalla squadra nella sua ultima stagione da calciatore, al
Sanfrecce Hiroshima, per una rissa che più
trash
non si può in un ristorante giapponese. Però era fortissimo, davvero, e sono
ancora abbastanza sicuro che in un universo parallelo Beto abbia vinto il
mondiale del 1998 servendo a Ronaldo il pallone dell’1-0 e chiudendo il match
con una sberla delle sue da fuori area. Perché ad ogni campione affermato
corrisponde – almeno per me – una sinapsi sghemba che porta altrove, in
una platonica caverna delle ombre nella quale la perfezione del talento
giovanile non viene intaccata da sviluppo ormonale, interessi, superficialità, ragazze,
infortuni, scuola, playstation o genitori. Ecco, entrando nella mia caverna c’è
un poster a grandezza naturale (1,79) del nuovo attaccante della Savignanese
Nicolò Lolli. Come chi.

Forlimpopolese classe 1994, Nicolò
ha debuttato in serie A a 17 anni, il 29 aprile del 2012, con la maglia del
Cesena a San Siro contro l’Inter (e il fatto che sia interista ha rimbalzato il
mio neurone anche sulla corteccia cerebrale: coefficiente
destino a livello Eljero Elia).

Quattro anni dopo (ne ha 22) la sua
carriera sembra già sul viale del tramonto, acquistato dalla Savignanese di
Farneti per tentare l’assalto al campionato di Eccellenza. Da Cambiasso a
Lombardini: cosa può essere successo in mezzo?

‘E’ il giocatore più forte che
abbia mai visto nelle giovanili del Forlimpopoli’. Sante Bastoni di ragazzini
promettenti a Forlimpopoli ne ha visti tanti: migliaia di migliaia. Eppure uno
come Lolli dal campetto intitolato a Fabio Colli non era mai passato in decenni
di attività. Confermo. A sei anni Lolli danzava sulla palla come un calciatore
fatto e finito, a 8 aveva le movenze di Ronaldo (quello buono), a 9 era già del
Cesena che a 17 lo faceva debuttare, appunto, in serie A contro l’Inter di
Sneijder, Maicon e Milito. Benvenuto nel mondo dei grandi.

‘Ho sempre tifato Inter. Alla
fine della partita mi sono portato via la maglietta di Zarate, che fatte le
dovute proporzioni è il giocatore cui assomiglio di più’ confidò
emozionatissimo alla Voce di Romagna. Ma forse quella di Zarate era una
premonizione che andava presa più sul serio. Non avendola capita noi del
Carlino, entusiasti di avere un altro ‘nostro’ ragazzo ai piedi del grande
calcio, gli dedicammo la prima pagina l’8 giugno del 2013, alla vigilia
dell’esame di maturità che lo aspettava allo Scientifico. Titolo: ‘Emozione da
serie A’. Era tutto apparecchiato per un futuro radioso: talento evidentissimo,
testa a posto, famiglia perbene alle spalle. Cosa poteva andare storto? Già.

La prima sliding door della sua vita calcistica arriva proprio quell’estate.
Ottenuta la maturità scolastica il Cesena gli chiede infatti di superare anche
l’esame con quella calcistica. E il calcio vero per i giovani che escono dal
settore giovanile del Cavalluccio passa per una delle tante società satellite
del circondario: Santarcangelo, Forlì, San Marino, Ribelle eccetera. L’ultimo
Forlì di Bardi bussa alla porta del Cesena perché Lolli, questo è chiarissimo,
sarebbe perfetto come esterno alto nel 3-4-3 bardiano.

Nel mio mondo parallelo
quell’estate Nicolò è sbarcato al ‘Morgagni’ e naturalmente Bardi non è stato
esonerato a novembre: il tridente con Melandri e Docente ha fatto scintille, il
Forlì ha sfiorato i playoff e senza spendere mille milioni sul mercato di
gennaio (Ferrini, Benvenga, do you remeber?) ha chiuso la stagione dando
fiducia ai giovani e incamerando centinaia di migliaia di euro dalla
Federazione. Purtroppo però la storia prende un’altra strada. Il Cesena considera il giocatore sproporzionato
alla Seconda Divisione.

D’altronde in B aveva fatto questo assist a Succi

E soprattutto quest’altro

e lo manda in Prima al San
Marino, in un campionato che non prevede retrocessioni e dunque è tutt’altro
che impegnativo. Quando comincia il
raduno Lolli ha 18 anni, il regista Sensi – l’altra grande promessa del settore
giovanile bianconero – 17. Sono le due stelline di una squadra con pochi
‘vecchi’ (Pacciardi, Poletti, Fogacci, Bivan) e zeppa di ragazzini alla prima
esperienza coi grandi. Le cose però non vanno bene e il 16 dicembre De Argila
viene esonerato, al suo posto il giorno dopo subentra Cuttone. Il San Marino
gioca male per tutta la stagione, a tratti malissimo: chiude penultimo. Lolli
da attaccante esterno tecnico e veloce non trova la chiave per entrare nei
meccanismi offensivi di una squadra che tiene pochissimo la palla a terra.
Chiude la stagione con 19 presenze e appena 2 reti. Nell’estate del 2014 a 19
anni Nicolò è già a caccia del rilancio. Peccato che a rilevarne il cartellino
(seconda
sliding door), in un’operazione
di mercato esclusivamente contabile, sia il Parma di Ghirardi: finisce in
Emilia insieme al portiere Ravaglia e al trequartista Gianluca Turchetta, ex
Sudtirol (sì lui). E nella stagione 2014-’15 resta a guardare, disperso come
mille altri calciatori più o meno giovani, promettenti, affamati. Il maledetto
tritacarne gialloblù si è messo in moto e mieterà centinaia di vittime. Nicolò
è esattamente al posto sbagliato nel momento sbagliato.

L’occasione per ripartire
arriva un anno dopo, a Imola in serie D, nell’estate del 2015. Pur di
rimettersi in gioco scende nel calcio dei dilettanti, consapevole di non poter
più sbagliare se l’idea è ancora quella – e lo è – di costruirsi una carriera
nel calcio professionistico. L’Imolese promette bene: Lorenzo Spagnoli non ha
badato a spese per mettere in mano ad Attilio Bardi (ci siamo!) una rosa super
ambiziosa. Però a ripensarci bene cosa mancava nella sua già tortuosa carriera?
Sì, indovinato: durate la preparazione Nicolò si infortuna al ginocchio. Due
mesi fuori, salta netto le prime due giornate e poi rientra dalla panchina
contro San Marino, Rovigo e Ravenna. Ma l’Imolese va male, malissimo. Quando
Bardi lo manda in campo per la prima volta da titolare il 4 ottobre contro il
Bellaria, il tecnico di San Piero in Bagno è già all’ultima spiaggia. Maremoto:
il Bellaria passa 2-3 a Imola, Bardi salta e al suo posto arriva Guido
Pagliuca. A Imola lo spogliatoio scotta e il nuovo allenatore lascia per strada
chi non ha la barba. A gennaio l’Imolese lo scarica. A 20 anni, 32 mesi dopo
aver provato a dribblare Lucio, Lolli è senza squadra. Gioca la seconda parte
di stagione con la maglia del Tre Fiori nel campionato sammarinese e quando
torna a casa, demoralizzato come Pellè di ritorno da Bordeaux, lo pigliano
giusto in Eccellenza. A Savignano Farneti proverà a restituire fiducia e
prospettive ad un ragazzo appena maggiorenne trascinato negli inferi da un
calcio che non prevede inciampi. E’ tutto qui? Magari no, dipende dal carattere.
Per conferme chiedere a Giaccherini che a 22 anni, stufo di girovagare sugli
stessi campi tra procuratori, fallimenti e delusioni, aveva deciso di mollarla
lì. E poi ha cambiato idea.