In allenamento Karl Heinz (Schnellinger) lo chiamava Bambolo. E se non sapete chi era Schnellinger, problemi vostri. Il link ve lo scordate. Lui, Ivan Bambolo Salvigni, aveva un viso rotondetto crediamo per via dell’età, perché oggi che compie 69 anni i tratti sono semmai spigolosi. Ebbene il difensorone tedesco amava le scivolate più di Chiellini e Vinnie Jones messi assieme, ma soprattutto non amava essere preso per i fondelli. L’errore di Salvigni fu di essere troppo sveglio: “Vedevo che arrivava sempre in tackle scivolato con quei gamboni, per cui alla seconda palla che controllai, vedendolo ormai vicino, gli succhiaiai la palla sopra, lasciandolo lì per terra a cercare il pallone”. Le conseguenze fisiche sul ragazzetto neanche ventenne nell’azione seguente sono immaginabili, così come la velata minaccia che seguì: “Se lo fai ancora ti rompo”. Capì?
Ivan Salvigni è stato uno degli attaccanti più forti che abbia vestito la maglia biancorossa del Forlì’ in 98 (ormai ci siamo col libro, Pardo?) anni di storia. Nacque a Borgo Sisa in una famiglia di contadini nel giorno di San Valentino del 1948. Lui si innamorò del calcio, subito, rincorrendo il pallone o quel che ne faceva le veci per l’aia di casa e per quelle dei casolari vicini. Fu in una di quelle partite polverose e sanguinolente che venne notato per la prima volta da un dirigente del San Pietro in Vincoli, il quale lo tesserò subitaneamente indicando una data di nascita falsa per permettergli di giocare con i più grandi. Già perché Bambolo non aveva nulla a che fare con i suoi coetanei: velocissimo, scaltro, intrepido, affascinato dal gol quanto il gol era affascinato dal suo coraggio. Grandi o piccoli che fossero i suoi avversari, Bambolo si avventava sul pallone come se fosse quella l’unica ragione di vita, la salvezza, il miracolo. E ci arrivava sempre prima, segnando tonnellate di gol anche quando la maglia era cambiata: dal San Pietro in Vincoli al Cervia, voluto da quell’Arnaldo Pantani che insieme al Conte Rognoni e a Renato Piraccini aveva fondato il Cesena. Nella Berretti di Magrini però Salvigni giocò poco, il tempo di segnare 8 gol nelle prime 8 partite. Un giorno a Macerata, dove la squadra alloggiava prima di una partita contro il Tolentino, venne raggiunto in camera da capitan Esposito: “Ivan, ci salutiamo. Ti hanno venduto alla Fiorentina”.
Autunno 1967, l’occasione della vita fu l’incredibile spartiacque di una carriera. Perché se è vero che nel calcio può essere sufficiente un gol di stinco per cambiare vita, l’altra faccia della medaglia è un puzzle con i profili di un milione di ragazzi che ad un passo dalla serie A sono precipitati nell’oblio del football di provincia. Salvigni cominciò a razzo segnando 5 reti nelle prime 8 partite, tanto che mister Mazzoni si sbilanciò: “Qui coi ragazzi stai stretto. Presto andrai in prima squadra”. Era la Fiorentina di Maraschi, De Sisti e Amarildo. Si allenava con loro Salvigni, e sognava il debutto in serie A. Invece arrivò la telefonata di un dirigente: “Abbiamo fatto un casino col tesseramento. Devi tornare al Cervia”. Un maledetto giorno di ritardo e alle 5 partite giocate da Salvigni alla Primavera Viola vennero comminate altrettante sconfitte. Bambolo tornò da Magrini. Per poco però. Perché su di lui piombò il Milan.
Le due milanesi se lo litigavano: provò con entrambe, una settimana alla Pinetina con Sarti-Burgnich-Facchetti… Suarez-Mazzola-Peirò e una al Milan, in prova con altri giovani tra cui Chinaglia. Alla fine la società rossonera se lo aggiudicò (scartando Bobbygol), e lo mise a disposizione del vice di Rocco, Marino Bergamaschi, con la squadra Riserve. Allora come oggi però la storia dei giovani attaccanti doveva passare per forza dai campionati minori. Bambolo fu prestato alla Jesina in C, poi al Lecco, alla Lucchese, al Viareggio e infine al Forlì.
La serie A era ormai lontana ma Salvigni, che a 24 anni era tornato a casa, fu protagonista col 7 sulla schiena di cinque stagioni memorabili (39 gol) con la maglia biancorossa: a centrocampo Vittorio Zanetti, la mente, in attacco Ivan Salvigni, il braccio armato. La sua storia a Forlì culminò con la promozione in C della squadra allenata da Vulcano Bianchi (76-77). In quella magica stagione la coppia Salvigni-Listanti fece davvero sognare i tifosi del Forlì, che ancora oggi si emozionano nei ricordi.
Bibo Bazzocchi (Vice pres.), Vulcano Bianchi, Orazi (All.), Zecchini, Perazzini, Minchioni, Cecchini, Cittadini, Brustenga, Laghi (mass.), Scungio, Bianchi Jr., Ruffilli, Bernardini, Dioni, Vasini, Luchitta, Modica, Salvigni
Lui, Ivan, ora segue il figlio Fabrizio che ha smesso di giocare lo scorso ottobre per diventare allenatore del Legnano, dopo aver segnato (è un difensore) il gol promozione dall’Eccellenza alla D nell’ultima partita della stagione 15-16. Il feeling con la porta però non era lo stesso del padre. L’attaccante più coraggioso, chiedere a Schnellinger, nella quasi centenaria storia del Forlì.