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Nella storia di ogni calciatore ci sono turning point che a carriera finita vengono vissuti con rimpianto o sollievo a seconda che la scelta compiuta, il destino o più semplicemente le circostanze collimino con la considerazione che il mondo intorno e il calciatore stesso hanno maturato nel frattempo. Cosa sarebbe o meglio dove sarebbe oggi Dario Bettini se a 18 anni avesse firmato quel contratto con la Lazio di Cragnotti (e Nesta, e Gascoigne), o se nel 2009 avesse accettato la corte serrata degli scozzesi del Kilmarnock, è difficile dirlo o anche solo immaginarlo. Di sicuro quella che raccontiamo è una storia strampalata e gloriosa, felice, pazza e irripetibile. La storia del Cobra Bettini: uno dei 5 migliori centravanti che il calcio forlivese abbia prodotto negli ultimi 30 anni.

Nato a Santa Sofia quando la Diga di Ridracoli era ancora soltanto un’idea di Zanniboni (1975), Dario comincia ad impallinare i portieri con la maglia dell’Atletico Bidente. Il suo talento però è un fuoco che cresce in autocombustione e divampa ben oltre l’Appennino. A 13 anni se lo accaparra il Forlì. Il percorso nelle giovanili biancorosse è netto e nel 1992, a 17 anni, Bettini debutta in D, al Morgagni contro il Pontevecchio.

Sguardo truce, capelli

Il reparto offensivo del Forlì non lascia molto spazio, in effetti: Anastasio, Lucchi e Farneti già sgomitano per giocare. Ma il ragazzino sceso dai monti è un’impennata di esuberanza, istinto e potenzialità. E’ alto e filiforme, ha personalità e arroganza oltre ad una tecnica rarissima a quell’epoca tra i centravanti. Una perla rara. Al punto che viene convocato e parte titolare in quattro partite con la Nazionale Under 18: coppia d’attacco Lucarelli-Bettini (“Non ce la passavamo mai”, racconterà, e ci se li immagina i due bestioni a litigarsi sponde e cross).

Sempre sguardo truce, capelli

L’allora diesse del Forlì Raniero Balzani è perfettamente consapevole di avere in mano un tesoro. Così in maggio a stagione finita lo manda a Roma sponda Lazio, la prima Lazio di Cragnotti, in una Primavera che in difesa ha Nesta e in attacco Di Vaio. Bettini sta a quel livello lì, si allena anche con la prima squadra di Eriksson insieme a Gascoigne, Riedle e Signori. Il trasferimento nella Capitale sembra cosa fatta anche se durante l’estate si fanno sotto col Forlì Parma e Perugia. Il ventaglio delle pretendenti cresce e alimenta le attese. A una settimana dall’inizio del ritiro suona il telefono a casa Bettini. E’ Balzani. E’ il momento.

Aquilacadabra

“Dario. la tua maglietta da oggi è giallorossa” annuncia serafico il Ds del Forlì. Il ragazzino 18enne che tifa Milan non trattiene l’entusiasmo ed esplode: “Vado alla Roma!”. “No che hai capito – frena Balzani – Vai al Ravenna”. Ah.

Non che quel Ravenna fosse un approdo detestabile, anzi. Il presidente Corvetta stava investendo fior di quattrini per portare stabilmente la squadra, neopromossa in B, nell’elite del calcio italiano (e in parte ci sarebbe riuscito). Bettini era un gioiellino perfetto e ancora grezzo da incastonare nella parure insieme a Buonocore, Vieri, Zauli, Buscè, Francioso e Gadda. Quando il Dg giallorosso Giuseppe detto Beppe Marotta propone 380 milioni per la comproprietà del ragazzino promettente Balzani mette da parte i pelati Cirio e incassa subitaneamente l’assegno. Niente Roma, niente Lazio, niente Parma, niente Perugia. Il centravanti Bettini da Forlì si trasferisce a Ravenna.

“Avevo 18 anni, immaginavo di essere pronto per il grande salto e invece finii nella Primavera del Ravenna. Non esplosi, anzi”. In giallorosso combina poco anche se nell’estate del 1994 finisce ugualmente sulle pagine dei quotidiani nazionali quando, contro l’Italia di Sacchi in amichevole a Sportilia, due passi da casa, addomestica un lancio di Buscè, mette a sedere Pagliuca e segna.

Pre Pasadena, pre bacio al palo

Arbitra Sirotti

Due anni dopo Bonavita convince la dirigenza a riportarlo (in prestito) a Forlì. Ma il figliol prodigo non si ritrova neanche dietro casa. La maniacalità di Bonavita che prova ad inquadrarlo dentro al suo mondo di schemi e movimenti stardardizzati non aiuta, al contrario: Bettini è ancora una fuoriserie che ha bisogno di sfogare i cavalli in spazi incontaminati, non dentro ad un circuito.

Francone, Rob Rossi, il Cobra e Marco Prati

Col Forlì non riesce a segnare un gol, finisce in disparte e non gioca neanche un minuto quando al ‘Manuzzi’ quella squadra entra nella storia sfidando il Milan negli ottavi di Coppa Italia. Lui, milanista, resta a guardare dalla panchina e si accontenta di raccattare i pantaloncini di Savicevic e la maglietta del suo idolo Di Canio. Non è questa la strada e i titoli di coda sulla sua seconda parentesi in biancorosso sono mesti: lo prende e lo paga (bene) l’Argentana, che vuole vincere la serie D e ha bisogno di qualcuno che la butti dentro senza indugi. Chi altro?

Nebbia, solitudine, anonimato: nel punto più basso della propria carriera Bettini segna 15 gol in un anno e mezzo. Ma vuole tornare prima possibile. Dove? Che domande


Il terzo ritorno a Forlì, con Spimi in panchina e la squadra contestata, certifica che il matrimonio non funziona proprio: 9 presenze, nessun gol e a gennaio l’addio definitivo al sogno di diventare profeta in patria. Rimarrà per sempre un grande rimpianto. A stagione in corso il procuratore Bergossi gli trova posto a Foligno dove c’è da sostituire un totem per i tifosi: Sandro Cangini. Solo che Bettini a 22 anni non ha ancora preso confidenza col proprio corpo leggero, armonico e spietato. Men che meno col proprio destino. E’ l’anno del terremoto e lui fa il pendolare perché deve servire il Paese (per i più giovani: servizio civile) in Comune a Forlì. Il talento trabocca ma non riesce ancora ad essere incanalato dentro ad un contesto di squadra. Gioca 7 partite in cinque mesi, segna un gol e se ne va. Lo cerca la Renato Curi Angolana, neonata società abruzzese con ambizioni di professionismo: l’attacco nel calcio di oggi sarebbe a stare stretti da altissima Lega Pro: Ignazio Damato, Dario Bettini, Umberto Del Core. Trequartista: Fabio Grosso.

Secondo in piedi da sx; Grosso. Penultimo: il Cobra

L’Angolana ovviamente vola e chiude il campionato al secondo posto dietro al Lanciano di Castori. Bettini segna 14 gol, monetizza sei mesi a Jesi e poi torna in Romagna, sponda gialloblù del Santarcangelo. E’ il 2001 e il centravanti forlivese ha ormai l’età della ragione: “A 26 anni ero cambiato. Capii grazie a mia moglie Gabriella che che il calcio era la mia vita e non potevo buttarla via. Acquisii consapevolezza. Cominciai a prestare attenzione all’alimentazione e agli allenamenti. Ero un altro. Ero pronto”. A Santarcangelo fiorisce il Bettini 2.0.

“Già allora si intravedeva che la società avrebbe potuto fare qualcosa di importante nel professionismo. Ogni cosa era al suo posto, ogni persona quella giusta, se c’erano dieci monete ne spendevano otto. Serietà, umanità, un’esperienza bellissima”. Resta due indimenticabili anni e mezzo e segna 29 gol, intervallati da un campionato da 13 reti in C2 con i Crociati Parma. E poi c’è Fano. Il punto di rottura.

certo, è quello arrampicato


I tifosi del Forlì non prendono bene il suo passaggio alla rivale più detestata. E quando mette piede al Morgagni da avversario lo bersagliano di fischi e improperi. Un boccone amarissimo che Dario non riesce a digerire, legato com’è alla città e alla squadra nella quale aveva sempre sognato di sfondare. La stagione successiva con la maglia del Castel San Pietro fa sfracelli, segna 22 gol in D e trascina la squadra alla vittoria del campionato.

La vendetta arriva nel 2005: è l’anno in cui il Forlì di Cotroneo raggiunge i playoff di C2 cominciando la stagione col clamoroso filotto di sei vittorie consecutive. La sesta è proprio contro il Castel san Pietro, 2-0 firmato Pizzi e Adani. Il 20 febbraio si gioca il ritorno a Castel San Pietro. Ed è una mattanza: 3-0 con tripletta del Cobra che festeggia mostrando ai forlivesi presenti allo stadio Comunale pollice indice e medio. Apriti cielo.

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Il putiferio che si scatena è enorme, tanto che nei giorni seguenti Bettini chiama il capitano del Forlì Calderoni al telefono: “Kalle, non ho niente contro il Forlì e i forlivesi, lo sai. E’ stata solo la reazione istintiva a tutti quegli insulti”. I due si conoscono e si capiscono. Ma serve un pegno d’amore. E i quattro forlivesi di stanza a Castel San Pietro – oltre a Bettini ci sono Guidone Ghetti, Maresi e Spada– hanno l’occasione di dimostrare il proprio attaccamento alla città: tre mesi dopo, ultima di campionato, Forlì (58 punti) e Gubbio (59) si giocano l’ultimo posto disponibile per i playoff. Il Forlì batte in casa il Montevarchi 2-1 e poi, con la radio accesa sugli altoparlanti del Morgagni e i giocatori in campo, aspetta il finale di Castel San Pietro-Gubbio. Il Castel San Pietro è già salvo ma gioca alla morte e strappa un inatteso 2-2 che spalanca al Forlì le porte degli spareggi promozione. Il Gubbio non accetta quella partita così combattuta e alla fine si scatena una mega rissa. Ma l’onta è cancellata. Dario (49 gol in due anni) e il Forlì fanno pace.

A 30 anni Bettini è nel momento migliore della carriera. Sul campo è un treno inarrestabile, con quadricipiti scolpiti e una padronanza del gioco assoluta. Non è mai stato così bene e gli addetti ai lavori non possono non notarlo. Bergossi riceve la chiamata dal Cesena di Castori, Salvetti e Papa Waigo, serie B, ma lui risponde picche (se ne è pentito? Forse) perché sente il bisogno di sprigionare quell’energia pazzesca ogni domenica. Sceglie il Legnano di Marco Simone e inaspettatamente diventa, parole sue, “la favola più bella della mia vita calcistica”.

In attacco gioca con Taldo e Moscelli, la squadra lombarda vestita lilla fa 2.500 abbonati e l’entusiasmo della piazza è alle stelle. In due anni il Cobra segna 30 gol tra C2, con vittoria del campionato, e C1. E’ un eroe.

Sembra tutto perfetto non fosse che un giorno Simone lo chiama: “Dario, son sincero: qua son finiti i soldi”. Aveva appena rinnovato per tre anni, si ritrova di nuovo altrove, stavolta a Pescina, a combattere di nuovo e a segnare ancora come da giovane non aveva fatto mai: 30 reti in tre anni tra i professionisti. In C è una leggenda, il terrore delle difese. Nel 2009 a 34 anni fa quello che vuole e sembra ancora migliorare ogni stagione. Il secondo anno in Abruzzo frantuma tutti i record e segna quello che probabilmente è il gol più bello tra i quasi 300 segnati in carriera, una rovesciata pazzesca al ‘Ceravolo’ di Catanzaro.

La sua prodezza viene premiata a Roma come il gol più bello della stagione 2008 di serie C. Internet lo porta fuori dai confini italiani e in Scozia decidono che quel gigante tanto simile a Cantona sarebbe perfetto per la Scottish Premiership.

King Dario

I Kilmarnock gli offrono tre anni di contratto a 150mila euro a salire, scuola internazionale, macchina, una casa a Edimburgo. Un treno clamoroso a 34 anni, che però il presidente del Pescina cestina all’istante: Bettini non si tocca, Bettini non si muove. A fine stagione nell’ultima partita di campionato contro il Foggia si rompe il semitendinoso. Otto mesi di stop, carriera ad alto livello finita. Ma il Cobra non è uno che si arrende facilmente. E dopo essersi rimesso a lucido ricomincia: Real Rimini (D, 9 gol), Fermana (D, 14), Ribelle (Eccellenza, 4), Meldola (Promozione/Eccellenza, 11), Tre Fiori (16), Dovadola (Promozione, 22 in 25 partite) e Del Duca (Promozione, 4 in 4): segna altri 80 gol sfracellando difensori e luoghi comuni. E’ altruista e sempre più implacabile, sicuro di quello che fa, consapevole di quello che faranno gli altri. Una macchina da gol.

Il Meldola fa la storia pareggiando col Ravenna, sulle spalle porta il baby bomber Giangrandi

Al campo di Dovadola, alla sua sx Marco Sozzi: in Promozione segna 22 gol in 25 partite

Chiude la carriera nel 2016, 24 anni dopo il debutto al Morgagni contro il Pontevecchio, con 19 maglie nel cassetto e 269 reti delle quali 98 tra i professionisti. Ora il Cobra allena i Giovanissimi del Forlì, 14enni cui cerca di trasmettere nozioni tecniche, tattiche ma soprattutto umane.

“Quello che ho imparato in tutti i miei anni di carriera – racconta – è che il talento non basta. Servono sacrifici, serve fame e serve lavoro. L’impronta che non sono riuscito a lasciare al Forlì da giocatore vorrei lasciarla da allenatore”.

Lo meriterebbe.