I puttanieri del tifo. I fedifraghi della curva. I traditori della sciarpa. Gli amanti di colori. La domanda: doppia fede calcistica. O tripla. Si può essere tifosi del Forlì e della Juve? Del Cesena e dell’Inter? Della Spal e del Milan? O, come accade nella provincia bicefala Forlì-Cesena, del Cavalluccio e del Galletto?
L’Italia dei campanili è figlia di un dio (calcistico) minore. E se escludiamo le grandi città dove cittadinanza municipale e curva spesso combaciano, la geografia calcistica è fatta di milioni di cuori spaccati in due, a volte in tre: ci sono forlimpopolesi che il sabato vanno a Cesena, la domenica pomeriggio a Forlì, poi la sera si piazzano davanti a Sky per seguire lo squadrone. Con furore, aggiungo. Idre calcistiche. Schizofrenia che spesso si riverbera nella vita di tutti i giorni. Il bipolarismo, dicono, è un problema psicologico. Certo certo… seguire Dybala è un filino diverso dal seguire la trasferta del Meldola ad Argenta. Vero e, tuttavia, c’è qualcosa in più rispetto alla questione estetica. C’è un problema storico che riguarda Forlì come città. Quel qualcosa in più è l’autocensura politica che ha deciso di non liberare gli spiriti animali dell’orgoglio patrio. In assenza di guerre tra ‘repubbliche’ dello stivale, è infatti il calcio la chimica della dimensione identitaria.
Sollecitato dal direttore Riccardo Fantini azzardo l’analisi sulla poligamia calcistica che sta annullando la sicurezza culturale del tifo biancorosso e che, a ruota, ma visibile solo a una minoranza di cazzeggiatori, sta frenando la crescita delle società minori. Salvo smentita, e senza dati a disposizione, sfido chiunque a dimostrare che la crescita del calcio Forlì non si sia fermata allo stadio adolescenziale a causa (anche) del vicino di casa. Alla Pasolini mi trincero dietro il ‘so ma non ho le prove’. Eppure è una verità storica che i più, comprensibilmente, preferiscono non guardare. Anche per il mio cuore a coriandoli, la sola idea di una guerra civile tra Forlì e Cesena è più oscura di un mare inesplorato. Così Cleocrito, araldo dei Misteri Eleusini, a proposito della guerra civile ateniese (404 a.C.): La guerra civile, la più vergognosa, la più dura, la più empia, la più invisa agli dei e agli uomini.
Bloccati qui, legati al palo del nostro bipolarismo ereditario da due sciarpe diverse. Da un lato lo spettro oscuro e sanguinario di una guerra civile, dall’altro il melting pot psicocalcistico senza, all’orizzonte, la catarsi delle presidenziali francesi. Ma qui mi fermo per evitare che l’endorsement di Piazzale della Vittoria possa incidere sulla corsa all’Eliseo. I problemi da risolvere sono tre. Il potere politico ed economico che negli anni ha scientificamente deciso di spartire il territorio. Il senso del tradimento, senza giudizio morale. Il lettino dello psicanalista per il bipolarismo di cui noi forlivesi siamo affetti.
Sul primo punto si attendono inchieste giornalistiche per capire se, davvero, la piazza forlivese sarebbe in grado di sostenere il suo destino calcistico. Sulla coscienza siamo messi così: mogliettina e amante, fidanzatina e puttan tour con gli amici. E poco importa chi sia l’una e chi sia l’altra. Salvo il manipolo di mirmidoni costretti in un settore simile al bus di Start Romagna, c’è un problema di coscienza sporca. E, o ci si confessa, oppure ci si convive bellamente. Ma il fatto resta. Perché qualcuno ha tradito ancora prima che nascessimo. Punto finale: l’approdo, ossia il lettino dello psicologo per gestire la condizione di figli mai o mal cresciuti, nutriti a poppate di pattinaggio e a dosi di sportucoli femminili.
A meno che, ovviamente, non si presentasse un uomo affetto da titanismo: Forlì ha bisogno del suo spazio vitale. Costi (quasi) quel che costi.