A chi mi dice che sono impallinato col basket dico: “Hai ragione”. Ma la mia prima passione è il calcio. Il calcio di Forlì. Il Calcio Forlì. E adesso ve lo dimostro.
Per quelli della mia età (io sono del 1973) lo spartiacque che fa entrare in scena il pallone è il Mundial del 1982. A valle di quel 1982 ho preso a interessarmi di calcio e, inevitabilmente, visto che vivevo a 1 km dal Morgagni e ci potevo andare tranquillamente in bici se non a piedi, andavo “a vedere il Forlì”. Credo abbastanza spesso, direi fino alla fine del 1986: qui prenderò “la scuffia” per la Jolly e le mie palpitazioni si trasferiranno al Villa Romiti prima e al Palafiera poi. Verso la metà degli anni ’90 la mia frequentazione del Morgagni, per qualche stagione, tornerà più intensa che saltuaria: collaboravo con il Carlino Forlì e – essendomi totalmente inibito quel basket di cui ero nel frattempo divenuto un ultrà – mi trovai spesso allo stadio per scrivere.
Segue l’alfabeto dei calciatori biancorossi che mi sono rimasti impressi. E’ una sequenza totalmente soggettiva, chiaramente. Per dare autenticità al contenuto mi sono auto-imposto di non fare ricerche sul web, ma di basarmi sulla mia memoria: potrebbe esserci quindi qualche sbavatura. I lettori più attenti e informati, a margine di questo contributo, potranno segnalare eventuali inesattezze.
Anastasio I 22 forlivesi nati tra i ’70 e gli ’80 che abbiano, come me, seguito con un po’ di trasporto il Forlì Calcio hanno un solo idolo adolescenziale: Matteo Anastasio. Centravanti. Segnava molto. O comunque segnava più di quanto mediamente un centravanti del Forlì segnasse. Alto e coordinato. Se non ricordo male si era anche fatto male in modo abbastanza serio. Ed era tornato forte grossomodo come prima.
Calderoni Vent’anni di carriera: tutti al Forlì tranne uno, da ragazzo, per “maturare”, al Santarcangelo, se non erro. Ed è beffardamente a questa sua stagione che lego il più gustoso aneddoto su Kalle. Che in una delle ultimissime giornate di una stagione che per la sua squadra non significava più niente, giocava contro il San Marino di Bonavita, che viceversa si stava giocando il campionato. A pochi minuti dalla fine Calderoni ebbe la pessima idea di venir via dalla difesa e andare in attacco. Segnò, fottendo il campionato a Bonavita. (Anzi no, il San Marino alla fine ce la farà lo stesso). Bonavita, e qui viene il bello, era tecnicamente il “suocero” di Calderoni, visto che all’epoca Alberto faceva coppia con la bellissima Pamela e conseguentemente frequentava casa Bonavita. Per i mesi a seguire Franco, accecato dalla rabbia, non lo salutò, fingendo di non vederlo tra il tinello e il salotto di casa sua a Terra del Sole. Mi spiegò, Francone, anni dopo: “Era un difensore, che cazzo era venuto a fare in attacco?”. Non fa una piega.
poi hanno fatto pace
Casotti Metà anni ’80. Inconfondibile per il capello rosso “pel di carota”. Terzino o mediano, comunque gregariato. Alterno.
Conficconi Metà anni ’90. Giovanissimo, capello sul lungo. Su disposizione di Varrella, spingeva sulla sinistra. Ipotesi di carrierina, convertito strada facendo dalla fidanzata al basket. Se vi perde un rubinetto o vi occorre un box doccia chiamatelo.
Curti Fine anni ’80. “Centravanti di manovra” alla Alfredo Di Stefano. Ho sempre avuto una passione per gli accostamenti esagerati.
Ianuale Primi anni ’90. Centravanti. Qualche gol. “Ianuale ale ale”. Poco altro. Il meglio lo diede a scarpini appesi al chiodo. (digitare su Google Ianuale Giovanni)
Di Chio Fine anni ’80. Numero 10 moro e tarchiato, anzi nano. A questo punto credo fosse – inevitabilmente – meridionale. Però accendeva la luce.
Farneti & Farneti Metà anni ’80. Fratelli in biancorosso. Mater semper certa est, poi però un test del Dna sul padre mi avrebbe incuriosito. Oscar – in seguito allenatore – lambiva un principio di nanismo, baricentro pari-culo, giocava in mezzo al campo: argine generoso, belle letture, piedini educati. Davide, il fratello giovane, era una pertica in zona 190 cm che buttava una gamba a destra e l’altra a sinistra. Fratelli? Mah. Ma torniamo a Davide: unico bipede in natura più scoordinato di me, faceva la punta ma avrebbe potuto fare il quarto lungo nella JollyColombani. Insospettabilmente era un giocatore da palla a terra: si ingobbiva sulla sfera e dribblava come un pazzo senza che nessuno gliela riuscisse a portare via. Ma, inevitabilmente, vedeva poco la porta.
Lepidi Primi anni ’80. Oggi si direbbe “seconda punta”. Giocava con l’11. Baffo folto e capello diradato. Attaccante generoso “alla Ciccio Graziani”. Lacrime, sangue, movimento, pochi gol.
Macerata Metà anni ’90. Fluidificante-cult di Bonavita, che se lo portò da San Marino e tanto gli voleva bene che si narra lo facesse vivere in un serraglio nel giardino di casa pur di non separarsene. All’epoca capello riccio vaporoso con una zazzera inguardabile. Di quelli che hanno svernato strapagati nei campionati sammarinesi fino ai 59 anni compiuti.
Malerba Fine anni ’80. Medianazzo di interdizione e spinta. Biondone aitante, baffoni, vaga somiglianza, anche nello stile di giuoco, con Hulk Hogan, il lottatore della transizione dal semiclandestino “catch” che passava su Telesanterno al più commerciale “wrestling”. Quando venne avevo il privilegio di conoscerlo già perchè aveva giocato gli anni prima nel Venezia, la squadra di mio papà. E io lo avevo visto giocare e apprezzato ben prima che i miei amici lo vedessero all’opera.
Menegatti Fine anni ’80. Prima di essere, in una vita successiva, il ds del Forlì nella sua stagione più pirotecnicamente demenziale, Menegatti ne fu il centravanti. Oggetto di giovanile idolatria semplicemente per aver segnato e dominato in un piovoso derby col Ravenna vinto 2-0.
stiloso
Orlandi Fine anni ’80. Il “Micio” dalla bella carriera alle spalle (Lecce e Cesena, se non erro, tra le altre). Al tempo si diceva “centromediano metodista”, oggi si direbbe playmaker. Navigato capitano: faceva a Forlì, in piccolo, quello che in quegli anni faceva Pecci al Bologna.
Orlandi Metà anni ’90. L’Orlandi attaccante, che viaggiava in coppia con Macerata, una coppia inseparabile tipo Gigi e Andrea. Come Macerata, era un ‘cocco’ di Bonavita. Nelle due leggendarie partite di Coppa Italia contro Foggia e Piacenza pareva Van Basten. Poi venne la mezzanotte e la carrozza si trasformò in zucca.
Paggio Metà anni ’90. Difensore moderno, alto e possente. Roccioso, prestante. Lo “stopper”. Io ero convinto che avrebbe fatto strada. Lui mi ha convinto che ne capisco il giusto.
Roccati Metà anni ’90. Portierone a 4 ante nell’anno che portò il Forlì al Manuzzi contro il Milan. La cosa che mi ricordo di lui? Eccola: un venerdi sera d’estate, forse un paio di anni dopo Forlì-Milan, sono davanti al Pineta. Lì vicino c’è Roccati, che parla con un capannello di amici. Io origlio impunemente e lo sento mentre parla di Bucchi, l’attuale allenatore, che al tempo il Perugia di Serse Cosmi aveva pescato dalle serie minori e stava incredibilmente segnando qualche gol. Roccati minimizzava le qualità di Bucchi, sostenendo che il passaggio al Perugia non fosse legato a criteri meritocratici ma semplicemente al fatto che Bucchi fosse il fidanzato di una parente prossima di Moggi. Poi, grazie al cielo, salii di sopra al Pineta e andai a figa.
Rebesco Primi anni ’90. “Se c’è Toto Rebesco è gol”, cantava il “Settore”. Punta ormonata, muscolare dal capello molto lungo, una passione per i lettini abbronzanti. Un California Dream Man ai confini del tamarroide, la cui costruzione estetica franava quando apriva bocca: quella zeppola faceva proprio crollare l’impalcatura.
Rossi Primi anni ’90. Buon pedigree. Centrocampista generoso, disciplinato, senza guizzi, aziendalista, molti appoggi laterali, pochi spunti vincenti. Caratteristiche che avrebbe riportato nella sua successiva vita di allenatore. Di nome faceva Roberto.
i rigori però li calciava con un certo coraggio
Rossi Fine anni ’80. Giovane portierone, altissimo, dionoccolato. Ma soprattutto tanto insicuro. Pochi mesi e fu rimandato da dove proveniva: al Cesena. Uno, lo avevo capito subito, che non sarebbe andato da nessuna parte. Di nome faceva Sebastiano.
Ruffilli Metà anni ’80. Il primo portiere non si scorda mai.
Scardovi Metà anni ’80. “Keegan”: approccio guerriero, 5 polmoni nella cassa toracica e ferri da stiro al posto dei piedi. Tornerà da allenatore.
diglielo in faccia, dei ferri da stiro
Viviani Metà anni ’90. No, questo nel Forlì non ha mai giocato. Ma quando venne al Morgagni, con la maglia del Castel di Sangro, la sua fidanzatina, Arianna David, aveva appena vinto Miss Italia. E quel pazzo psicopatico di Massimo Pandolfi mi impose di intervistarlo per il Carlino nel pre-partita per chiedergli “com’è essere un calciatore fidanzato di Miss Italia”. Un giorno me la pagherai, Massimo.
Zamuner Metà anni ’80. Di nome faceva Giorgio: chissà perchè me lo ricordo. Centrocampista bidimensionale: rottura e ripartenza, in un’epoca in cui eri o l’una o l’altra cosa. Quel tipo di giocatore all’epoca indossava l’8. Sarebbe diventato un pupiullo di GB Fabbri nella cavalcata della Spal dopata dalle coop rosse.