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E’ davvero molto vicino il ritorno di Attilio Bardi a Forlì. Il no di Oberdan Melini – che ha deciso di restare gialloblù e in Lega Pro, ufficialmente per un debito di riconoscenza verso Brolli: curioso che nella stessa estate due dirigenti abbiano detto no a Forlì per restare a Santarcangelo, non Berlino – ha frenato un matrimonio che altrimenti si sarebbe compiuto già in queste ore: entrambi sono di San Piero in Bagno, si conoscono da anni, si stimano, avrebbero lavorato volentieri insieme. Così invece il Forlì ha dovuto ricominciare a guardarsi intorno alla ricerca di un Direttore sportivo al quale affidare poi (la trafila dovrebbe essere questa. Dovrebbe) la scelta del mister. Il nome più caldo torna ad essere quello di Gianluca Stambazzi, 51 anni, segretario in biancorosso un paio di stagioni fa ma già allora inclinato più al versante sportivo. La squadra costruita con Federico Giunti a Macerata – prima da consulente e poi da vero e proprio Ds – la scorsa estate ha funzionato e negli ultimi mesi è a lui che Stefano Fabbri e Gianfranco Cappelli hanno chiesto una mano nei momenti difficili, ad esempio prima dei playout quando era maturata la convinzione che fosse meglio esonerare Gadda. L’alternativa è Andrea Galassi.

Rapporti

Stambazzi e il Dg Claudio Casadei hanno già lavorato insieme, Stambazzi e Bardi no. Ma è dal loro feeling che dipenderà gran parte dei successi della squadra, per cui è necessario che – nel caso – si annusino e si piacciano. Prima. Resta un’incognita anche il rapporto Casadei-Bardi, parecchio logorato ai tempi dell’esonero di Attilio. La questione è dunque meno semplice di quello che potrebbe sembrare, oltretutto nessuno dei soci del consiglio rimasti operativi ha conosciuto Bardi: né Fabbri, né Cappelli, né Marco Casadei erano nel Forlì nelle sue due avventure in biancorosso. Per cui la scelta è dettata probabilmente dalla necessità di rimettere insieme una piazza sfiduciata dopo la seconda retrocessione in tre anni: Bardi è l’allenatore più amato a Forlì all time.

Ripassino

La storia d’amore tra Bardi e il Forlì comincia nel 2001, presidente Ravaioli, serie D. L’idea è quella di vincere il campionato: non si realizza ma il Forlì gioca un grande calcio e il secondo posto dietro al Fano è sufficiente perché l’estate successiva Marco Oliveti possa chiedere il ripescaggio in C2. Il patron riminese scarica Bardi e regna per quattro anni portando il Forlì fino agli spareggi playoff col Ravenna. Ma nella stagione 2005-06 Oliveti sbraga e l’estate seguente lascia il Forlì al palo: la società sparisce e dopo un anno in cui la bandiera viene fatta orgogliosamente sventolare sulla Terza categoria (!) da Pardolesi, il Forlì rileva il titolo dello Sporting di Romano Conficconi e riparte dalla Promozione, con Luciano Linari presidente e Massimo Keegan Scardovi in panchina. Vinto il campionato, in Eccellenza la questione si complica e il primo anno (2008-09) si chiude col cambio alla guida tecnica (dentro Francone Bonavita) e un non soddisfacente quarto posto finale. Vincere non è facile ma una certezza c’è: con una squadra forte Bardi non sbaglia. E’ lui il prescelto e la scelta si rivela azzeccatissima: trascinato da uno strepitoso Enrico Buonocore il Forlì chiude il campionato al primo posto con 8 punti di vantaggio sul Cesenatico e sale in serie D. Missione brillantemente compiuta.

La stagione seguente il Forlì di Bardi e Sandro Cangini pone le basi per la risalita – è quello che vorrebbero fare i soci quest’anno -, arriva quarto giocando un bel calcio e valorizzando qualche ragazzo del territorio come l’attaccante Francesco Pezzi. I conti sono a posto, la squadra gioca un calcio brillante, ordinato e propositivo, il pubblico si sta riavvicinando.

Al puzzle manca solo la vittoria del campionato che arriva l’anno seguente al termine di un indimenticabile testa a testa con l’Este. Il Forlì di Bardi è supersonico, gli attaccanti Petrascu e Melandi entrano a suon di gol nella storia del club, Sozzi è il capitano, Balestra, Mordini, Vanigli, Orlando, Mazzoli, Evangelisti, Semeraro, Sampaolesi sono i protagonisti della cavalcata. Ma il momento più alto nella storia recente del club deve ancora arrivare. Sempre con Bardi.

Succede la stagione seguente, in serie C2, quando al termine del girone di andata il Forlì – una delle squadre più belle da vedere del girone – è in lotta per la zona playoff con corazzate come Venezia, Bassano e Mantova. La società in quel momento ha due scelte: rinforzare la rosa per puntare agli spareggi (Cangini ha in mano il trequartista Grassi) oppure imporre a Bardi l’utilizzo di molti giovani in modo da fare cassa in vista dell’anno seguente. Il Forlì di fatto non sceglie: Cangini viene messo in disparte, la squadra perde fiducia e chiude al decimo posto, ci sono frizioni malgestite dentro allo spogliatoio (Ginestra-Sozzi) e una sgradevole querelle sul premio in caso di playoff. In estate, complice il fine d’anno grigiastro, qualche socio non è convinto di andare avanti con Bardi. L’inizio non entusiasmante della stagione seguente, complici moltissimi infortuni, costa l’esonero all’allenatore di San Piero in Bagno: il 4 novembre viene sollevato dall’incarico, il 5 rescinde Petrascu, il 6 arriva a sorpresa Roberto Rossi. The end.

Profilo

55 anni, tifoso del Milan, il suo soprannome è Attila anche se del condottiero unno non ha certamente la ferocia. Bardi è prima di tutto una brava persona (non è poco) che ama il calcio più di ogni altra cosa. Non è umile ma questo non è necessariamente un difetto: nella pratica quotidiana ciò si traduce in una fiducia totale nel suo modo di vedere le partite. Il 3-4-3 non è un’opzione ma la regola, una regola che necessita degli interpreti giusti – soprattutto sulle corsie esterne, luoghi deputati allo sviluppo del gioco con la ricerca della superiorità numerica – per funzionare: per questo è fondamentale il rapporto con colui che gli uomini li sceglie ossia il Ds. Negli ultimi anni a Forlì il feeling con Cangini era pressoché totale. Ciascuno conosceva qualità, limiti e necessità dell’altro, un’integrazione che – finché ha funzionato, fino al gennaio del 2013 – ha fatto le fortune del Forlì e dei giocatori che ne hanno fatto parte. A differenza di Gadda, Bardi pone meno attenzione sulle caratteristiche degli avversari e più sull’interpretazione psicologica e tattica dei suoi giocatori: se la squadra rispetta le sue consegne per gli altri non c’è scampo. La fiducia di ogni singolo giocatore nelle proprie qualità è fondamentale, così come lo spirito di gruppo. Un allenatore brillante preparato, spesso vincente. Il suo limite più importante finora è stato quello di non sapersi adattare, per presunzione, a contesti avversi. E anche una certa ritrosia a lavorare con i giovani: resta però da verificare se fosse un deficit suo o una oggettiva carenza di talento nel serbatoio biancorosso (più probabile la seconda), senza contare che, Atalanta compresa, deve essere sempre la società ad imporre allo staff tecnico, se quello è l’indirizzo, l’utilizzo obbligatorio degli under e/o dei ragazzi cresciuti nel proprio settore giovanile. In viale Roma non è mai successo: con o senza Bardi.

In generale il destino ha voluto che Forlì fosse la sua città: prenderlo è sempre la scelta giusta.