A Forlì fu una meteora: pochi mesi da Team manager, aveva 25 anni ed era alla sua prima esperienza nel calcio professionistico. Una stagione complicatissima tra l’altro, in quel campionato nel quale le prime 9 erano promosse in terza serie e le altre finivano nei dilettanti. Giovanni Manna, che adesso ha 29 anni, non ebbe neppure il tempo di godersi lo spareggio col Tolle da dirigente: un mese prima era arrivata la chiamata del Chiasso, Svizzera: una chiamata che in poche stagioni l’avrebbe portato – attraverso Zambrotta, Zeman e infine Tramezzani – fino a diventare direttore sportivo di una società che la prossima stagione parteciperà, proprio come Milan, Arsenal e Marsiglia, all’Europa League.
Giovanni, quanta acqua è passata.
Mamma mia. Quanti ricordi.
Come arrivò al Morgagni, lei che è di Como?
Avevo partecipato al Master Sport a San Marino e Parma insieme a Lorenzo Pedroni. Fu lui a volermi al Forlì, mi fece il colloquio ed entrai. Lo ringrazierò sempre per quell’opportunità.
Fu una stagione particolare.
Meravigliosa. Vivevo con i ragazzi e quell’esperienza è stata fondamentale per il mio percorso di crescita: a livello umano prima di tutto, ma poi anche per conoscere le loro abitudini.
Ma il Forlì provò a trattenerla?
Sì, mi offrirono il ruolo di responsabile del settore giovanile. Ma la proposta del Chiasso, che faceva la B in Svizzera, era economicamente troppo migliore. E poi sarei andato a 20 minuti da casa mia, come facevo a dire di no?
Oltre al fatto che avrebbe lavorato spalla a spalla con un campione del mondo, Zambrotta.
Quell’anno ci salvammo, nel frattempo il Lugano aveva vinto. la serie B. Zambrotta aveva qui un amico, fece il mio nome, conosceva il
presidente: arrivai qua insieme a Zeman.
Sempre da Team manager.
Sì però il direttore sportivo qui al Lugano non c’era, perché il realtà il mercato lo faceva il presidente. Un po’ alla volta ho instaurato un rapporto eccezionale col
mister e ho iniziato ad entrare in queste dinamiche.
Il feeling produce risultati anche sul campo.
Il primo anno raggiungiamo la salvezza con la finale di coppa svizzera che perdiamo. Ero in
scadenza, mi hanno fatto tre anni di contratto da responsabile dell’area tecnica. In pratica facciamo la
squadra insieme, fino alla cavalcata di quest’anno, fino a Tramezzani che arriva a gennaio e ci porta fino alla qualificazione in Europa
League.
Chissà che emozione immaginare anche solo il sorteggio. Perché resta a Lugano giusto?
Ho ancora due anni di contratto e qui sto bene. Poi vediamo, Tramezzani va via, il presidente lo ha liberato. Io ho 29 anni e col budget più basso di una Lega Pro italiana combatto con società che spendono 80, 50, 35 milioni… Siamo arrivati diretti al girone di Europa League, la gente si fa un po’ di domande. Il calcio corre veloce, veloce.
Capito, ha altre proposte. Dall’Italia?
Meno. Lavoro con le grandi squadre, ad esempio con la Juve. All’estero però si sta meglio: dal punto di vista economico, ambientale,
lavorativo… In Italia ci sono tanti compromessi, a 29 anni ad esempio non fai una squadra. Qui abbiamo scoperto giocatori dalla B svizzera che adesso valgono 4-5
milioni.
Quanti spettatori vi seguono?
Seimila quando va bene. Soffriamo la concorrenza dell’hockey che qui è come il basket a Forlì.
A proposito di Forlì, ora che guarda la società da lontano che effetto le fa? Perché non riesce a crescere?
Perché parlano in troppi e troppi vogliono dire la loro opinione, che spesso è diversa. Ai miei tempi c’erano dieci persone a ogni riunione: c’era Conficconi, persona meravigliosa, poi due vicepresidenti, Lorenzo, Casadei… Qui il mio presidente parla e io agisco. E’ più semplice e funzionale.
D’altrone senza la cooperativa non bastano i soldi.
Ma io parlo di governance. Chi prende le decisioni all’interno di questa governance?
Adesso hai Casadei Direttore generale, uno che arriva dal mondo bancario ed è un pensionato, poi
Cangini che ha fatto promozioni dalla D. E poi i soci, con quali competenze? Così è difficile.