Ti sarà inviata una password tramite email.

Da una ricerca nel mio archivio risultano 226 foto di Gigi Garelli. E’ un numero non elevato perché seguo il basket – prima se ne occupava un altro fotografo – solo dal 2013. 154 delle suddette 226 sono state scattate in momenti estranei alla partita: conferenze stampa, feste, presentazioni di squadra, giocatori e società, ce n’è una anche al Morgagni con Rossi e naturalmente la Samorì.

Samoclick,Rossi,Garelli: Forlì-Pro Piacenza 0-0

Delle 72 che avanzano ce ne sono poi 16 di time out (pochissime, mi piacciono poco). E così arriviamo alle 56 di Garelli mentre fa la cosa più importante: guida la squadra durante la partita. Di queste 56 ben 24, cioè quasi la metà, sono istantanee di incazzature con gli arbitri. Facce distorte in ogni contrazione possibile, occhi sbarrati su spazi intangibili di incredulità, palmi poggiati l’uno sull’altro a sollecitare la coscienza infettata della giacchetta grigia di turno all’Unieuro. Come un fedele alla sua personale messa della domenica, Garelli prega la Madonna del Palafiera. Invoca l’impossibile redenzione della terna, maledice il demonio acquattato nei meandri del fischietto. E qualche volta, a forza di darci, prende i falli tecnici.

#parloconte

A Castrocaro nella preseason il sersiano coach dell’Unieuro era stato espulso, segnale abbastanza inequivocabile – essere cacciati dal campo in amichevole non è una sanzione, è un messaggio – di un’insofferenza ormai palese della classe arbitrale per le lamentele in stereofonia. Ma la musica da allora non è cambiata. E a Piacenza l’Unieuro non è andata in pace, al contrario: i due falli tecnici fischiati nei secondi finali al coach e a Rotondo hanno chiuso il match a favore dei padroni di casa, arrivati all’ultimo minuto in odore di rinculo beffa dopo la rimonta. Era evitabile? Certo che sì. Sarebbe andata diversamente? Probabilmente no: inerzia e ambiente spingevano comunque in direzione Jones. Ma non è questo il punto. I punti sono due: uno è psicologico, l’altro societario.

Psicologia – Guardi questi disegni, cosa vede?

Bonacini piccolino, in mezzo, circondato da due americani che lo spiaccicano. Si vedono anche le budella

non è palla contesa: è chiarissimo che quello a sinistra (Rotondo) subisce una carica fallosa col gomito

Crockett in terzo tempo, schienata a sandwich di Jones e Infante. Se non è fallo questo di cosa parliamo

Vivendo le partite forlivesi dal campo mi capita di seguire le dinamiche di gioco a pochi passi dalle panchine degli allenatori, nel calcio come nel basket. Una cosa che dagli spalti e soprattutto dalla tv NON avevo capito è che quasi sempre le proteste nei confronti degli arbitri (nel calcio il bersaglio del mister è più spesso il guardalinee per questioni di distanze) sono purissime messinscene teatrali. Si protesta per indirizzare – inconsciamente – la prossima decisione arbitrale, non certo per convincere il direttore di gara ad avare sbagliato quella precedente. Gli allenatori sanno che indietro l’arbitro non torna praticamente mai.

va beh, a meno che non ci sia il Milan di mezzo

Una volta l’attaccante Ravanelli, tornato in Italia alla Lazio dopo essere stato a giocare in Inghilterra, protestò a lungo perché in una partita di Champions League contro il Leeds l’arbitro gli aveva concesso rigore ma non aveva espulso il difensore avversario. I suoi gesti plateali fecero arrabbiare il pubblico inglese che lo prese di mira per il resto dei 90 minuti. Lui alla fine spiegò, candido: “Mi ero dimenticato che gli inglesi non vogliono che si protesti per queste cose: ma in fin dei conti è il mister che mi dice che fa parte del lavoro lamentarsi con l’arbitro”.

La differenza di Garelli è che Gigi a bordo campo è sinceramente sconvolto, incazzato, sconcertato, furibondo e al tempo stesso incredulo per i fischi che danneggiano la sua squadra. NON fa finta, non è una messinscena. Le sue due ore di gioco sono davvero una Via Crucis verso l’agognata vittoria nella quale la croce che deve portare sulla schiena è la palese, ingiustificata e crudele incapacità degli arbitri di dargli ragione. In altre parole: la gran parte degli allenatori ha la capacità di camminare sul filo del tecnico (o nel calcio dell’espulsione) senza oltrepassarlo, tirando la corda con gli arbitri quanto e il più a lungo possibile. Sbavano improperi alle sacre scritture per una rimessa laterale e un secondo dopo si girano verso il vice per decidere insieme la prossima mossa, come attaccanti sfiorati in area di rigore che cadono in preda a convulsioni irreversibili e dieci secondi dopo, se il gioco continua, galoppano verso la metacampo onde evitare il fuorigioco. Garelli no. Garelli ci crede. Si incazza per davvero.

#pregaconme

Società – Chi sta sopra a chi

Ne abbiamo parlato fin dall’estate, a Piacenza per la prima volta il pisello costringe l’Unieuro a qualche ora di dormiveglia post sconfitta. In una società strutturata – che è quello cui deve aspirare una realtà forte, ricca e vincente come Forlì – all’inizio della settimana in corso, diciamo martedì, un dirigente in grado direbbe due paroline nello spogliatoio comprendendovi entro anche il coach. Perché perdere va bene e dare la colpa agli arbitri va benissimo, per carità, ma la partita a Piacenza l’ha persa prima di tutto Forlì. E se una volta può capitare, bisognerebbe che non capitasse più. Ora, chi si prenderà la briga del cazziatone? Difficile immaginare un Giroldi in versione sergente Hartman.

Più facile da ipotizzare un intervento del presidente Nicosanti. Ma lo spazio pneumatico che separa la guida tecnica dalla proprietà resta un nonsense all’interno di un gruppo di lavoro eccezionale e di una squadra – presa larga – che aspira a diventare qualcosa di importante nel panorama italiano. In questo senso la sconfitta di Piacenza può diventare una tappa importante, magari chiave, all’interno di un processo di crescita collettiva che continua a sembrare inevitabile.