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Solitamente è il più piccolo della squadra, ma è anche il più scaltro, furbo, agile e, soprattutto, è il leader! Questo in poche parole è il mediano di mischia, colui che detta i tempi e che ha per le mani tutti i palloni in attacco della una partita. Deve avere la fiducia di tutti i giganti della mischia perché loro devono fare quello che lui dice e deve avere un’intesa esagerata con il mediano di apertura perché deve sapere dove passargli il pallone anche mentre i mufloni della mischia avversaria cercano di planargli addosso.

Mani d’oro, piede vellutato, colpo d’occhio indiscutibile, coraggio da vendere e anche una discreta dose d’incoscienza sono i requisiti che un “nove” di alto livello deve sfoggiare (forse è per questo che la mia carriera da mediano di mischia è limitata alla serie C e per giunta a fine carriera, ovvero quando avevo messo su qualche chilo che mi appesantiva e non mi consentiva di fare più il dieci). E poi piedi velocissimi, col fuoco sotto, in modo da potersi infilare nei pertugi più impensati. Un paio di giorni fa ha passato la palla Joost van der Westhuizen, uno dei più grandi mediani di mischia del passato che coi suoi placcaggi su Lomu nella finale del 1995, aiutò il Sud Africa a conquistare la sua prima World Cup.


Stringer, irlandese, è il prototipo del mediano di mischia: talmente odioso che “vinse”, durante un Sei Nazioni, una castagna da Troncon (uno dei migliori nove nostrani) che lo lasciò a terra per un bel po’. Nick Farr-Jones, a mia memoria, fu il primo mediano di mischia atipico col suo metro e novanta abbondante. Quelli più entusiasmanti sono stati, comunque, i mediani di mischia francesi che hanno spopolato fra gli anni 80 e 90: Berbizier, Galthiè, Fouroux e chi più ne ha più ne metta.

Quando a meta del secondo tempo dell’incontro fra Forlì/Ferrara e Villorba la neodiciottenne Calderoni (Nati per tutti noi) col suo metro e cinquantanove ed i suoi quarantanove chili ha placcato il mediano di mischia del Villorba lanciato in meta tutti ci siamo girati ed abbiamo detto: “Lei lo sa chi ha appena messo a terra?”. L’avversario era niente meno che Sara Barattin, capitano della Nazionale italiana ed uno dei migliori mediani di mischia a livello mondiale in circolazione (14 punti sui 25 della sua squadra, e due mete con noi due settimane fa…).

Sara ha una leadership naturale ed è riuscita a dare quella fiducia e quella sicurezza che una squadra appena nata come il Villorba necessitava per passare dalla Coppa italia al Campionato a XV. Non a caso le trevigiane al momento contano 4 vittorie ed un pareggio e per una squadra alla sua prima apparizione in A è un risultato da “giù il cappello”. E la Barattin, in questo risultato, ci ha messo tanto del suo, sia in campo che fuori. Dà una sicurezza alle compagne di squadra, sia in attacco che in difesa, le aiuta a non abbattersi quando la partita non va per il verso giusto ed è un esempio di come un giocatore deve lavorare per mantenere alti i propri standard. Sempre positiva e disponibile, la vedi dentro il campo dare tutto per riuscire a portare a casa il match e poi, senza atteggiamenti da diva, raccogliere il materiale (sacchi da placcaggio e palloni) e portarlo negli spogliatoi finito il divertimento dell’incontro. Nel rettangolo verde ogni volta che commetti un’ingenuità ti punisce e le due mete da lei segnate sono entrambe nate da una punizione veloce giocata mentre noi giravamo le spalle per andare a dieci metri di distanza. Passaggio preciso e pulito è la gioia delle aperture nostrane perché riesce sempre a metterti in condizione di giocare in avanzamento, ed è anche dotata di un piede educato sia dalla piazzola che nel gioco tattico. In difesa chiude la seconda linea di difesa in maniera sempre efficace e non si tira certo indietro nella bagarre del punto d’incontro. Per questo da diversi anni guida la mischia azzurra dell’Italdonne e ne è anche il capitano. Mi ha colpito la sua abilità, in difesa, nel limitare da mischia chiusa l’azione offensiva del nostro mediano chiudendo il canale di passaggio 9-10 sfruttando ogni centimetro che il regolamento gli consente di usare.

Tutto sommato, lo possiamo dire, una bella esperienza per la ferrarese Cheval (17 anni) che per ottanta minuti le ha tenuto dignitosamente testa e per la terza linea composta da HomedjeRossiDe Thomasis, che ha avuto l’onore di limitarne le sue sfuriate offensive. Ed anche per Bellavista che per due volte, mentre già assaporava l’odore della meta, si è vista fermata da quella che, attualmente, rappresenta il rugby femminile italiano nelle cerimonie di presentazione e in campo.