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Avevo una formula per la sconfitta: dopo che avevo detto la mia nello spogliatoio, prima di superare quella porta e affrontare i giornalisti, la televisione, prima di parlare con il tecnico avversario, dicevo a me stesso: “Dimenticatela. È passata”.
Alex Ferguson, “La mia vita”, 2014

Insieme al responsabile comunicazione Forlì 2.015 Riccardo Girardi e all’ex capitano del Forlì Alberto Calderoni ci siamo chiesti, via mail, se abbia senso criticare un allenatore o se invece sia un puro esercizio di vanità.

Riccardo Fantini Da ‘imbucato’ al mondo della pallacanestro forlivese ho trovato curiosissimo l’atteggiamento di molti tifosi nei confronti di Garelli. Durante la stagione l’hanno massacrato nonostante abbia rimesso in piedi la società, vinto la Coppa Italia a metà anno e guidato quasi sempre la classifica. Alla fine si sono dovuti quasi rassegnare alla vittoria. Ma cos’altro doveva fare, il Gigi? E’ davvero, solo una questione di rotazioni dimenticate o c’è del cronico? Possibile che il tifoso medio sia davvero convinto di capirne più di uno che lo fa di professione e allena i ragazzi tutti i giorni della settimana? Gira, anche tu sei così quando vai in curva a Verona (sospetto di sì)? Kalle, gli allenatori possono essere davvero così superficiali?

Riccardo Girardi Sospetti male. Anzi malissimo. Premessa: Verona – calcio, Hellas, Curva Sud: altri mondi, per carità di Dio – non c’entra nulla con Forlì, col basket e con Garelli. Viene tremendamente prima l’imperativo morale di sostenere la squadra, il club, “la causa”, rispetto all’arrovellarsi in disquisizioni tecnico/tattiche. Ad una allenatore può essere rimproverata l’assenza di agonismo, o magari lo scarso attaccamento alla maglia, suo e/o della squadra che guida: questo sì. Ma a meno di strisce di risultati da suicidio o di un portiere schierato da centravanti, difficilmente, in termini generali, si sottraggono energie all’incitamento per devolverle alla contestazione “tecnica” dell’allenatore. Nel febbraio del 1998, una domenica pomeriggio sottozero al Giglio di Reggio Emilia, con l’Hellas penultimo in classifica e un rendimento esterno tipo 0 vinte 3 pareggi 10 sconfitte, dinnanzi ad una nuova, imminente sconfitta, si alzò uno striscione, dedicato all’allenatore, che recitava “Trasferte da Cagni”. La mia autistica memoria in materia non ricorda altro nei 18 anni successivi, per dire. E di allenatori-cessi, al Verona, nel frattempo ne hanno avuti. E’ un approccio così diverso rispetto a quello dei miei espertoni del basket forlivese – o anche, se vogliamo, dei celeberrimi 50 milioni di commissari tecnici della Nazionale di calcio – da essere uno dei motivi per cui da oltre vent’anni investo dalle 5 alle 10 domeniche della mia vita per disintossicarmi dal “comun pensare” e rifugiarmi dai Butei.

Fantini Nella mia esperienza ho avuto difficoltà con cinque allenatori, tre della Juve e due del Forlì, ma per ragioni quasi completamente caratteriali. Nel mio immaginario l’allenatore è un generale, è quello per cui i giocatori vanno a ‘morire’ in battaglia. L’allenatore nel mio immaginario è Lippi, Mourinho, Conte. Può anche essere amico dei giocatori, penso ad Ancelotti, o Allegri che gioca a basket con Pogba o per certi versi a Bardi, ma deve sempre mantenere un’aura di superiorità non dico morale ma almeno intellettuale (Guardiola, Gadda). Cosa diceva Ciro Ferrara nello spogliatoio prima di una partita importante? Lo senti in tv e incespica sui propri stessi ragionamenti, balbetta, strizza gli occhi per mettere a fuoco l’interlocutore, non finisce le frasi. Oppure Del Neri: ma dai, con quella voce te lo immagini in Champions League mentre parte l’inno? E’ antropologicamente fuori contesto. L’altro che non sopportavo alla Juve era Ranieri, un sunto di luoghi comuni e paraculismo malcelato, uno che non convincerebbe neanche Rambo a seguirlo in battaglia. Poi vabbè, è inciampato nella storia ed è diventato il Profeta del calcio ma alla Juve continuerei a non volerlo. Nei 15 anni di rapporti professionali col Forlì invece ho avuto problemi all’inizio con Cotroneo – una volta al telefono mentre viaggiava in pullman con la squadra verso Gualdo, mi pare, mi disse: “Devono spararti col kalashnikov, così le pallottole ti esplodono dentro al corpo e ti fanno più male”, non so neanche se sia vero – e ultimamente con Roberto Rossi. Ecco, forse verso Rossi ho avuto in qualche frangente la forma mentis manifestata da qualche tifoso forlivese quest’anno verso Garelli: l’ho criticato per scelte tattiche o tecniche che esulavano quasi completamente dalle mie competenze. E’ che mi aveva accusato pubblicamente in conferenza stampa di aver manipolato dei dati sulle medie punti sua e di Bardi, una roba che non farei neanche sotto tortura, e un po’ me l’ero legata al dito. Però penso che tutte queste convinzioni dei tifosi alla fine possano creare problemi alla squadra, no? Sono alibi per i giocatori (colpa dell’allenatore se non gioco, o se perdiamo) e l’esperienza mi insegna che la prima cosa da levare ai giocatori sono gli alibi.

Alberto Calderoni Quello di allenatore è certamente il ruolo più difficile da esercitare nel calcio attuale e credo non solo nel calcio. Sei, in buona sostanza, il maggiordomo dei tuoi giocatori. Sono loro che scendono sul rettangolo e decidono le partite e, in Italia purtroppo, le tue sorti. Certo hai il diritto/dovere di allenarli e di poter decidere chi far giocare o “come” giocare. Si. Ma in campo ci vanno loro. Premessa che permette di giungere all’elementare conclusione che credo non ci sia allenatore, mister, coach sulla faccia del pianeta che possa permettersi di essere superficiale. Ci son quelli bravi, quelli molto bravi e quelli scarsi, molto scarsi. Ma superficiale ne dubito. Pur manifestando da anni un “declino cognitivo lieve” riesco ancora a ricordare chi mi ha insegnato qualcosa sul football e chi al contrario esercitava il ruolo con doppiezza, falsità, ambivalenza, ipocrisia (una sorta di allenatore di sè stesso prima che dei suoi giocatori). Eppure tutti mi hanno trasmesso qualcosa; ognuno di noi poi si porta dietro ciò che vuole e soprattutto quel che decide di essere.

Se un giorno volessi provare a cimentarmi nella titanica impresa desidererei avere la capacità di potermi dimostrare coerente, leale, paladino dei miei giocatori e incontentabile ai loro occhi. Per quanto concerne l’essere tifoso .. beh il tifoso completamente appagato non esiste in quanto… tifoso! Oppure esiste l’altro tipo di sostenitore inquadrato perfettamente dal Gira (che non risponde ai complimenti whatsappati..! Il Gira non risponde, non il tifoso) per il quale esiste la Maglia, la Storia ed il compagno di fede e d’avventura. Figura nella quale mi sono parzialmente e attivamente ritrovato (per l’Inter, non per il Forlì) per qualche anno quando ero più giovane, e che una parte di me, con tempi a disposizione differenti, non dimentica anzi apprezza ridestandosi con sussulti d’orgoglio quando viene derisa.

Fantini Sì però ti ho sentito distintamente – come quasi tutti gli interisti – criticare Mancini perché durante la stagione ha cambiato troppi giocatori e moduli: non trovo una grande differenza rispetto ai forlivesi che accusano Garelli di non ruotare a sufficienza gli uomini palesemente stanchi. E’ possibile che Mancini non abbia considerato pro e contro della faccenda? Possibile che voi interisti dalla tribuna aveste più chiara la situazione spogliatoio-tattica-fiducia di lui che era al campo due volte al giorno tutti i giorni?

Calderoni Mi hai sentito criticare Mancini a tavola tra di noi davanti a una pizza. Difficilmente, anzi direi che è impossibile, mi sentirai criticare un tecnico allo stadio piuttosto che a palazzo. Questo non per codardia ma perché avendo vissuto le difficoltà da dentro immagino quanto potrebbe essere complicato per me se fossi al loro posto. E’ assolutamente impossibile che qualsiasi semplice tifoso tribunaro o curvaiolo abbia contenuti più solidi rispetto a chi vive il campo e lo spogliatoio.

Cotroneo a parte.