La “morte” della pallacanestro forlivese 1.0, quella targata Libertas Forlì – nel 1946 Juventus (per la gioia di Mastrangelo) e a seguire Becchi, Recoaro, Latini, JollyColombani, Filanto, Olitalia e in’ultima analisi Carne Montana – fu ratificata dal mesto trasferimento del codice Fip dalla Romagna a Sassari nell’estate del 1999. La constatazione di avvenuto decesso del 1999 fu figlia, tra le altre cose, di quanto accadde esattamente 3 anni prima. In quell’estate del 1996 di cui, calcolatrice alla mano, ricorre oggi il ventennale. Estate che “cambiò” lo sport europeo. E, a cascata, in un diabolico “domino” la storia della pallacanestro forlivese.
L’estate del 1996 fu quella in cui trovò applicazione la “sentenza Bosman”: da Jean-Marc Bosman, terzino scarpazzone belga, che un bel dì intese far notare ai più alti livelli che la sua condizione di calciatore non era dissimile da quella di qualsivoglia altro lavoratore europeo. Secondo Bosman, se un cuoco di una tavola calda o un commesso presso una libreria poteva muovere la sua carriera a piacimento, chessò, da Milano ad Amsterdam passando per Londra, senza essere considerato straniero ma semplicemente europeo, e senza dover chiedere il permesso alla brasserie o alla libreria presso cui prestava servizio, la stessa cosa sarebbe dovuta valere per lui, calciatore. Idee chiare e un buon avvocato: gli diedero ragione. Come si dice in gergo “la sentenza fece giurisprudenza” e rivoluzione fu. Perché da allora tutti gli sportivi professionisti europei ebbero modo di andare a giocare in squadre europee senza essere considerati stranieri. E, soprattutto, il “vincolo” del “cartellino” fu raso al suolo: i giocatori, a contratto scaduto, potevano andare “dove gli pareva” senza dover chiedere conto alle rispettive società. Era, insomma, entrata in vigore “la Bosman”.
revolutionary man
L’abolizione del “cartellino”, del concetto cioè secondo cui un club o un presidente erano “proprietari” a tempo indeterminato delle prestazioni di uno sportivo, mise gomme a terra un’intera classe di dirigenti sportivi. Angelo Rovati, che al tempo era il presidente/proprietario della Libertas Forlì targata Olitalia, fu uno di questi. Come altri colleghi contemporanei, aveva imperniato la sua carriera di dirigente sportivo sul fatto di possedere i cartellini di un nucleo di buoni giocatori: un paio di ragazzi nel pieno di un’ottima carriera – Andrea Niccolai e Stefano Attruia -, un paio di giovani di talento e in vistosa lievitazione – Juan Manuel Moltedo e Max Monti -, un altro paio di gregarioni dediti alla causa – Federico Antinori e Giovanni Focardi. Era il ‘tesoretto’ con cui 2 anni prima era arrivato da Roma a Forlì, scambiandosi di fatto “la piazza” con Corbelli, il suo spregiudicato omologo che invece nello zaino aveva i vari Sabbia, Zatti, Monzecchi, Capone, Bonaccorsi.
La Bosman fu per Rovati e Corbelli come l’approvazione della Bolkestein per un bagnino della Riviera romagnola: l’azzeramento del capitale su cui avevano edificato le loro alterne fortune nel basket. Rovati dovette, senza colpo ferire, e Dio solo deve sapere la fatica che gli costò, accettare che Attruia se ne partisse bellamente in direzione Aek Atene e Moltedo all’Iraklis Salonicco (già, la crisi in Grecia non era ancora arrivata). A quel punto – constatata la disintegrazione del nucleo che aveva avvicinato Forlì al basket come forse mai prima, con l’apice del 3-0 a Rimini del 1995 – perfino la bandiera Niccolai non potè esimersi dal recepire il danaroso richiamo di Gherardini alla Benetton Treviso. Già, quel Niccolai che 2 estati prima, 1994, non voleva inizialmente venire in A2 (immaginate, chessò, un Baggio costretto a giocare in B), ma che con le buone o con le cattive Rovati – potenza del “cartellino” – aveva obbligato in tal senso, poteva fare “marameo” e salutare. Dei “buoni” restò solo Monti, che però era “così buono” in relazione all’alta qualità dei compagni che aveva intorno.
Rovati tentò di metterci una pezza: ma coi comunitari Dreliozis (malissimo) e Maslarinos (discreto) fece pescate insipide, peggio ancora coi ricicli riminesi Ferroni e Semprini. Sul fronte americano Kenny Williams andava e veniva come le Beck’s nel suo frigorifero e allora ad Angelone non restò che votarsi al “circense”: abbinando i 170 cm di Greg “Waterbug” (“Pulce d’Acqua”) Grant ai 231 cm di Manute Bol. No, non era più una cosa seria. Inevitabile, la retrocessione. I forlivesi se ne accorsero (che non era più una cosa seria). Di lì al 1999 desertificarono il Palafiera. Rovati passò la palla a Piero Paganelli che, nel 1999, staccò il respiratore dopo un paio di A2 positive ma in un clima da “accanimento terapeutico”. Rispetto ad una malattia che era esplosa nell’estate del 1996. Esattamente vent’anni fa.