La prima stagione della Pallacanestro 2.015 si è conclusa al casello in trionfo, come auspicava Pandolfi anni fa.
Non sono mancati come in tutte le storie a lieto fine anche i momenti difficili: il 16 aprile ad esempio Forlì aveva perso la terza partita di fila nel piccolo borgo vercellese di Valsesia, in un palazzetto sperduto nel mezzo delle Alpi, con Vico che sbagliava il tiro da 3 nei secondi finali (eh eh) e con esso anche il primo posto in classifica, che ai più sembrava scontato. A Garelli i tifosi urlavano di tutto sia sul lato orecchio destro che sul sinistro, le riserve giocavano poco e Rombaldoni tra il male e il fastidiosamente male, tra molti tifosi serpeggiava pubblicamente la convinzione che lo spogliatoio avesse mollato il coach, Vico era appena uscito da un infortunio e non si capiva se sarebbe stato mai, davvero, decisivo. A due giornate dalla fine della regular season insomma la slavina era sul punto di scendere sul versante disgraziato della montagna e invece – in quel momento come in tanti altri, anche e soprattutto ai playoff – ha preso la china giusta. Perché ? E’ stato un caso o c’è dell’altro? In altre parole: come si indirizza una stagione vincente partendo da zero?
Premessa: rotondità della palla, infortuni, avversari, arbitri e scelte umane errate impilano un percentualone di imprevedibilità al puzzle. Si può fare tutto benissimo e poi ferro, a casa. Però la società sportiva dovrebbe fare il massimo – se non altro per gli impegni economici che assumono i soci, sono loro i primi ad avere interesse che il giochino funzioni – per ‘soffiare’ la palla di neve nella direzione giusta. Quindi acquisire giocatori che sappiano controllare bene la palla e siano focalizzati sul parquet, prepararsi al top fisicamente, curare bene gli infortuni, ‘rastrellare’ tutti gli sponsor possibili, mettere le persone giuste al posto giusto nella squadra e intorno ad essa. Ecco, queste cose la Pallacanestro 2.015 le ha fatte quasi tutte fin dall’estate scorsa.
Il presidente Giuseppe Rossi ad esempio è stato un presidente perfetto per la prima stagione post Boccio. Comunicativo lo zero virgola, timido, addirittura impacciato. Il 30 settembre 2015, per dire, si è presentato nella sciccosissima Corte San Ruffillo alla presentazione della squadra a sponsor e media così. Come fai a non pensare che farà tutto il possibile, in buona fede?
Nel 2.0 il look viene dopo
Qualunque proclama – da uno che arrivava da Lugo tra l’altro, e quindi andava malino a prescindere – avrebbe irritato una piazza i quel momento ipersensibile: il basket forlivese aveva bisogno di essere normalizzato ed è esattamente quello che ha fatto Rossi, nature. E con lui il diesse Mimmo Giroldi: messa insieme una buona squadra in estate seguendo più che altro le indicazioni di Garelli, si è tirato da parte e chi si è visto si è visto. Roster ok, innesti di gennaio ok. E’ vero, nessuno picco: ma a conti fatti ha sbagliato qualcosa?
In zona commerciale la scelta per le società sportive è sempre la stessa: affidarsi ad un uomo ‘interno’ oppure mettere la pubblicità in mano ad una società esterna? La seconda scelta è di solito la meno conveniente per la società (oltretutto si lasciano i ‘contatti’ in mano a qualcuno che un giorno saluterà) ma anche, sempre, la meno rischiosa. Scelta: Unieuro si è affidata ad Andrea Balestri, un numero uno in città. Poche sorprese e resa garantita.
La scommessa semmai è stata fatta sul fronte comunicazione al quale, con lungimiranza, è stato accoppiato anche il ‘ticketing’. Già perché se a Forlì c’è un uomo comunicazione che può occuparsi anche dei tifosi e dei biglietti, quello è Riccardo Girardi. La sua connessione con tutte le frange del tifo biancorosso, anche se inizialmente elettrica in certe sinapsi, è stata una delle chiavi di volta della stagione. Con la campagna abbonamenti playoff Bet on Me (1.000 ticket staccati, 1.500 magliette vendute) si è guadagnato lo stipendio annuale, il comunicato stampa alle 4 del mattino dopo la vittoria a Montecatini è il sunto di una vita che sul fronte sportivo aspettava solo di essere sovrapposta professionalmente alla ‘sua’ Forlì. Fin troppo multimediale (detto da un fotografo acquisito, razza che di mestiere rompe i coglioni), Riccardo ha impennato in dieci mesi l’appeal del basket forlivese. Facile? Mica tanto in una città stantia, egocentrica e macchinosa. Ha camminato spesso sul rasoio, com’era inevitabile per un carattere burrascoso e iperattivo, inciampando un paio di volte (con Boccio all’inizio, con Bilancioni e Romualdi verso la fine) ma rialzandosi sempre in fretta e perfettamente ingellato oltre che sorridente. Garelli e Rossi hanno avuto coraggio ma alla fine la scelta è stata vincente. Di più, credo che Riccardo abbia innescato e poi mantenuto saldo quel processo chimico di identificazione squadra-città che altrimenti, chissà, forse sarebbe scemato o addirittura imploso in primavera. Forlivese per scelta (è di Modena), è stato la punta più visibile di un iceberg che sotto aveva altri indigeni innamorati: Marcello Casadei, Pomo Serra, Ferruccio Tassinari, Albertino Poggi. Ve li immaginate lavorare ‘contro Forlì o anche solo mettere se stessi prima del gruppo? Io no. Un team così composto non poteva che indirizzare la stagione verso il successo, che infatti puntualmente è arrivato seppur passando per strade tortuose come ogni storia sportiva richiede. Ma i sintomi della ‘malattia’ erano ben visibili fin dall’inizio, bastava saperli leggere. E poi c’è stata Unieuro.
Il gigantesco retailer di elettronica di consumo, fresco di fusione con Marco Polo, ha cambiato le carte in tavola nello scacchiere delle sponsorizzazioni delle grandi aziende forlivesi. Non tanto per la cifra attorno ai 130.000 euro annuali (190 per la prossima stagione, boom), spiccioli per Unieuro, quanto per il peso di un marchio così importante sul nome delle magliette, con tutto quello che ne consegue sul piano dei rapporti e delle parole spendibili. Però torniamo in cima alla montagna: la sponsorizzazione di Unieuro è stata nell’estate del 2015 chiaramente, quasi esplicitamente l’accettazione ‘politica’ di una richiesta, quella dell’amministrazione comunale e in particolare dell’assessore allo Sport. Non ci sono possibili ragioni di marketing puro nella sponsorizzazione da parte di Unieuro di una squadra di pallacanestro di serie B. Neanche una. Se però Giuseppe Silvestrini avesse vissuto la sua prima stagione dentro ad una macchina arrugginita, polverosa e confusionaria, probabilmente in queste settimane leggereste sui giornali che per fare la A2 servono altri sponsor, e quindi inutili appelli eccetera. Invece è successo che la società Pallacanestro Forlì 2.015 ha funzionato. Ha lavorato spedita, ha proposto un modello vincente e ha vinto anche sul campo. E’ stata funzionale e divertente. Tanto che persino l’amministratore delegato di Unieuro Giancarlo Nicosanti, uno che nel 2015 ha smazzato 1,5 miliardi di fatturato, è stato spesso presente in prima persona non solo alle partite (con maglietta e partecipazione da ultra), ma addirittura agli allenamenti della squadra. La presenza in crescita di Unieuro dentro alla società biancorossa è dunque conseguenza, non causa del successo.
Se il futuro nei prossimi diciamo due anni – ma il roster sembra già parecchio ambizioso – appare destinato ad un’altra promozione, quello nel breve periodo richiede alla società continue scelte dirimenti. Se soci e dirigenti sapranno continuare sulla strada intrapresa negli ultimi dodici mesi, prestissimo Forlì avrà di nuovo una squadra di basket ai massimi livelli italiani, sana e con quel seguito di tifosi lì.