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Il basket forlivese è disseminato di infortuni illustri. Non sempre – ma quasi sempre – drammaticamente determinanti. Una tradizione di cui faremmo volentieri a meno. Una “injured list” lunga trent’anni. Non ci credete? Non lo sapete? Non ricordate? Salite sulla macchina del tempo insieme a me. Con un avvertimento: ne vedrete delle brutte.

Partiamo da lontano. Nel 1987/88 la JollyColombani Forlì è allenata da un 32enne (minchia, a 32 anni facevi l’head coach in A2: davvero altri tempi), da un 32enne – dicevo – coach sangiorgese di nome Cesare Pancotto. Diciamocelo: quella squadra è una vera figata. Un formidabile composto di bollicine e concretezza. Lo show-time, che gremisce domenicalmente il “primo anno dall’inizio” di uno scintillante Palafiera, viaggia sulle corse furibonde di Fumagalli e i rimorchi schiaccianti di Singleton (una specie di Crockett 3 decenni prima di Crockett). Bello bellissimo, anche perché al lavoro sporco e a far quadrare i conti pensa il “Toro” di Los Angeles: Mark Landsberger, già da qualche anno a Forlì. Parliamo di 203 centimetri in verità non propriamente belli da vedere… ma di una solidità impressionante: parliamo d’un uomo capace di tirar giù 20 rimbalzi in una sera (chi, oggi?). Quando la stagione entra nel vivo la doccia fredda: ernia al disco, “Toro” seduto. Stop immediato. Perché sennò, se insiste a giocare – sentenzia lo sparacazzate di turno – “rischia di finire in carrozzina”. (L’anno dopo il “Toro” ripartirà da Montecatini: saranno 15 o 20 rimbalzi a sera anche lì e non sarà basket in carrozzina: il senso di Forlì per le fregnacce non aveva bisogno di facebook).

28 novembre 1987

Al posto di Landsberger prima il bulimico Bobby Cattage, poi – giusto in tempo per uno sterile playout in cui la Jolly è mera comparsa – il più referenziato John Ebeling, l’Angelo Biondo, un “4” favoloso che gioca però su un ginocchio e per caratteristiche non c’entra davvero nulla con Landsberger. In quell’anno problemi all’inguine, pubalgia, insomma roba al confine con le zone erogene (un leit-motiv che si riproporrà anche in stagioni successive: e giù ironia sui tanti avvistamenti al Pineta) per Corrado Fumagalli. Corradino idolo-locale sta fuori diverse domeniche nel girone di ritorno. Il che consente a Sandrino Vitali di vivere la più classica delle domeniche da raccontare a figli e nipoti: 40’ in campo da minorenne contro la Fortitudo targata Yoga, 5.000 sugli spalti e 8 punti a referto.

Nel 1990/91 la JollyColombani diventa Filanto e si affaccia in A1. Stagione maledetta. A dir poco. Il cambio del play, pedina cruciale del mercato estivo, Andrea Gnecchi, proveniente da Gorizia, ha un infortunio muscolare in precampionato: entrerà solo a novembre inoltrato. La squadra è esperta, scaltra: tanto per dire le suona alla 5° giornata all’aitante Benetton di Kukoc e Del Negro, che arriva capolista a punteggio pieno e se ne va con la coda tra le gambe. La Filanto sembra volare a vele spiegate verso un playoff da magnifica outsider. Fintanto che in una pressoché unica soluzione si fanno male i due super-americani John Fox e Bob McAdoo. Cosa c’è di peggio di una mazzata? Due mazzate, chiaro. I due califfi vengono (encomiabilmente) sostituiti “a gettone” da Randy Allen e da un leggendario Rod Griffin, che a 35 anni risponde al fischio di Gherardini e viene a dare una mano alla “sua” Forlì. Grazie alla professionalità dei due “gettonari” il vascello di Virginio Bernardi, anziché affondare come si temeva, resta a galla: e quando rientrano i due titolari, ai playout arriva una salvezza in carrozza. Con l’amaro in bocca per quel che sarebbe potuto essere senza quei due dannati infortuni.

“ginocchio in disordine”, Bernardi in allarme

Anno di grazia 1994/95. Finirà col trionfo di Rimini ma non partirà esattamente quieta. Mentre infatti Niccolai sta sull’Aventino, (inizialmente) indisposto a scendere in A2 e costringendo Rovati alle maniere forti, il playmaker Stefano Attruia nel cuore del precampionato si scopre che ha contratto l’Epatite A: se ne va in quarantena all’Ospedale di Santa Sofia (già, alla faccia dell’AUSL unica della Romagna, c’era un ospedale a Santa Sofia). Sistemato l’apparato digerente, il triestino di colore entrerà in squadra. Ma solo a partire dalla 4° giornata.

Epatite per Attruia, Carlino del 6 settembre 1994

Nel successivo 1995/96 la maledizione della Forlì neopromossa in A1 e potenzialmente da playoff (ma solo potenzialmente) si rinnova. Squadra lanciata in una bella regular season, è tutto pronto per una primavera di puro divertimento, quando un’ernia al disco (do you remember Landsberger?) si abbatte su Andrea Niccolai. “Saturnino” va ad operarsi, siamo in febbraio, e chiude così la sua carriera forlivese (andrà a Treviso l’estate successiva). Un giovane Moltedo sale in quintetto con aitante personalità ma chiaramente Nick è altra pasta. Il playoff, anche per via di convulse cause ambientali, sfuma ad un centimetro.

Nel 1996/97 è cambiato il mondo. La Bosman ha fatto fuggire i migliori, Rovati reinventa come può la squadra. Se con Semprini e Ferroni prende due granchi (Crabs, per l’appunto), e se il comunitario Dreliotzis sarebbe forse più appropriato per la Fulgor che gioca la B2 al sabato sera, una pescata ad Angelone riesce non bene ma benissimo: Gerrod Abram. Playmaker realizzatore, talento sopraffino, ragguardevole senso del canestro. Parte facendone 31 al Forum di Assago contro Milano (ma la squadra perde), poi ne fa 10 in casa contro Verona (ma la squadra straperde), quindi ne mette altri 29 a Trieste (e la squadra vince). Gioia incontrollabile, grande esultanza: nei festeggiamenti – sì, avete letto bene, nei festeggiamenti – gli saltano tutti addosso. Forse con un tantino troppa veemenza. Sepolto dall’altrui entusiasmo, il ginocchio di Gerrod fa crack. Tornerà per le ultime 3 partite di campionato: ma a babbo morto, la Carne Montana è infatti già condannata alla retrocessione in A2. Con lui, forse, sarebbe andata diversamente. Quella vittoria e quell’esultanza gli furono fatali.

In effetti è abbastanza incredibile

Si esce dall’era-Libertas 1946, si salta a quella della FulgorLibertas. E anche qui non ci siamo fatti mancare niente. Durante i playoff del 2005, la Vemsistemi di Gigi Garelli sembra davvero pronta ad andare fino in fondo. Finale contro Casale Monferrato, prime due gare in Piemonte. E’ là che il crociato di Alberto Causin, il capobranco della squadra, si squarcia sul più bello, in diretta su RaiSportSatellite. Su esplicita richiesta del leonino atleta, sulla base di ragionamenti più elettrici che tecnici, Garelli lo sbatte in campo in Gara3 al Villa Romiti: Caus gioca 3’ con un crociato rotto – caso più unico che raro – e azzarda pure la bomba-delirio, che però gli esce. Si rimette a sedere, la squadra andrà sul 2-1 ma non riuscirà a sfruttare il doppio match-point. Sì, ma con Causin come sarebbe finita?

Nel 2007/08 Garelli, che nel frattempo ha anche sperimentato l’A2 nell’agrodolce esperienza di Sassari, è di nuovo a Forlì. Un Arpaia più in affanno del solito gli raffazzona la squadra in 72 ore, al tramonto del mercato. Non malaccio in assoluto, ma non siamo da corsa, Moltedo è più bollito del previsto, in qualche modo s’arriva terzi. Poi cominciano i playoff. Primo turno con Treviglio (avversario teoricamente addomesticabile) al meglio delle 3. Ma è la formula ad essere birichina: la prima subito là, poi Gara2 ed eventuale “bella” in Romagna. La FulgorLibertas scivola in Gara1 e si ritrova spalle al muro al Villa Romiti. Gara2 è già la partita della vita: Federico Tassinari, pretoriano di Garelli, si sfonda un ginocchio dopo 3 minuti e ci andrà dietro per un’estate intera. E la partita? Butta male, anzi malissimo. Davolio spadella la tripla decisiva, Forlì è a casa al primo turno. Garelli intona l’iconico “Ci vuole i soldi”: il sacrificio del Tasso è perlomeno valso una pietra miliare della comunicazione cestistica forlivese.

Gli anni successivi vedranno in prima pagina il polso di Davide Compagni (tra colpi proibiti sottocanestro, diagnosi confuse e terapie di conseguenza, il roccioso lungo padovano vivrà un calvario infinito), in seconda pagina le perenni noie muscolari di Francesco Modica, in qualche trafiletto laterale la meteora Ruggero Fiasco, pivot king-size che in un solo anno mise a referto più risonanze magnetiche che canestri. Morale: la FulgorLibertas non riesce proprio a schiodarsi dalla B1.

Forse ce la farà nel 2009/10? Sembra che tutto cospiri per il meglio: squadra in palla, Di Lorenzo l’illuminato condottiero. Ma nel momento decisivo succede “di ogni”. A Federico Lestini, che a tratti sembra un marziano calato in 3° serie, crolla un ginocchio a Treviglio al primo turno playoff.

Però ci si consola con la potenza di Poletti

Gioisce la Bologna Biancoblu, che lo detesta e celebra l’accadimento con una crudele pagina facebook. E’ solo l’inizio di una primavera in cui la sfiga supera l’immaginazione ma in cui, nonostante giochi con 3 o 4 infortunati alla volta, Forlì in qualche modo arriva alla finale proprio contro la Fortitudo. Che vincerà Gara5, rocambolescamente, con l’irripetibie giocata di talento+culo a firma Malaventura in quello che costituisce forse il più doloroso coitus interruptus della storia del basket forlivese. Non basta, ad una leggendaria FulgorLibertas, un altrettanto leggendario Toto Forray, che gioca (anzi, domina), stoicamente, con una mano rotta, un’intera serie di finale. Con una FulgorLibertas in assetto minimamente completo Forlì sarebbe salita, ci sarebbe stata una notte di festeggiamenti, niente ripescaggio, Sacrati non sarebbe fallito e di conseguenza non ci saremmo dovuti sciroppare – sia pure a distanza di sicurezza – tre anni di felsinei teatri dell’assurdo, diatribe, 103, Ferrara, FortiBudrio ed Eagles.

Otto a Toto

E allora la FulgorLibertas in A2 ci arriva, come detto, col ripescaggio. Dopo l’incredibile salvezza del 2010/11, nel successivo 2011/12 tra i non molti superstiti della memorabile “Spring Madness” c’è Mike Roman Nardi. Che il 30 ottobre 2011, in un non-derby contro la pseudo-Fortitudo, s’infortuna alla caviglia: la diagnosi parla di “parziale lacerazione del tendine d’Achille”. Dopo pochi giorni l’italo-americano sparisce da Forlì, facendo sapere di volersi curare negli Stati Uniti. Il combinato disposto dell’infortunio a Nardi e di Easley “Regalo di Natale” di Grazioso a Sassari trasforma una stagione da salvezza in infradito in un incubo totale. Nardi ci mette del suo: per due mesi manda al caravanserraglio oratoriano notizie assai frammentarie su cosa stia facendo e su come si stia curando. All’inizio sembra torni a gennaio. Poi slitta tutto, riappare in tv via Skype e, bontà sua, annuncia il suo rientro in Italia. Rieccolo, e siamo a febbraio inoltrato. Alberani, che aveva potenziato il reparto piccoli sostituendo il Regalo di Natale con Wanamaker, a questo punto, col rientro di Mike, decide di tagliare colui che 24 mesi dopo sarà l’Mvp della A1 italiana sostituendolo con l’inquietante paracarro Coleman. Con un piccolissimo dettaglio: Nardi è al 40%, non pago si mette pure a scrivere stupidaggini su facebook. Poi la caviglia torna a scricchiolare, e lui si mette a sedere per assistere con Coca Cola e pop corn alla più demenziale delle sia pur non pochissime retrocessioni forlivesi.

Il resto è storia recente. Di cui Sebastian Vico – il suo interno-coscia, la birra di Rimini e gli speroni nella caviglia che sfregano contro il tendine – non è che l’involontario e sfortunatissimo simbolo.